Missioni Consolata - Febbraio 2011

42 MC FEBBRAIO 2011 Qui: il lago Karakul ai piedi del monte Muztagh-Ata (7.546 metri), il più alto della catena del Pamir, confine naturale tra Cina e Pakistan, Afghanistan e Tagikistan. Pagina seguente, in alto da sinistra: uno scorcio della vecchia Kashgar; bambini uiguri in piazza. zioni. Riuscirono a svilupparsi grazie all'abilità di mer- canti, ma anche a una elasticità nell'amministrazione che contribuiva a mantenere la pace necessaria al com- mercio. La loro cultura perciò nasce e cresce in que- st'ambiente dove coesistevano allo stesso tempo di- verse religioni e diversi popoli, e su questo si basa. For- nitori della giada ai cinesi da 3500 anni, hanno goduto del favore della dinastia Tang, che li apprezzava come maestri di musica, e della dinastia mongola Yuan, che permise la diffusione dell'islam. Nel XXI secolo sono per lo più contadini e pastori nei piccoli villaggi in- torno alle oasi. Alcuni sono impiegati negli uffici gover- nativi o nelle aziende in città, con uno stile di vita nuovo. Si dichiarano turchi con onore e si riferiscono alla loro terra con il nome di «Turkistan orientale», nel nostalgico intento di continuare ad affermare la loro identità almeno nella propria lingua. Nelle campagne greggi di pecore e capre pascolano sotto i pali delle centrali eoliche; qui i mezzi sono molto limitati, l'educazione è scadente e le opportunità sono poche. Un conseguente fenomeno è la migrazione verso le città costiere, dove la manodopera è sempre ri- chiesta. Il governo ne è fautore e sono sempre di più gli uiguri, specie le donne, a spostarsi nella Cina centrale per lavorare, partecipando alla mescolanza di genti che avviene massiccia tra Cina centrale e questi territori occidentali. Me lo raccontano in una città singolare sulla via della seta centrale, Kuqa, che sembra ancora oggi un’oasi nel mantenere intatta la sua parte di case di fango basse e bianche affianco alle costruzioni cinesi. Forse perché tra queste case, in passato (dal 200 al 650 ca.), è vissuta un importante cultura, la Qiuzi, il cui ca- rattere buddista è rimasto nelle grandiose grotte dei mille Budda di Kizil o meglio nelle 180 casse di affre- schi portate in Europa dall'archeologo tedesco Van le Coq nel 1906 e nel 1913. In punta dei piedi tra i vicoli di Kuqa, intorno a ciò che è rimasto dell'antico regno, or- mai muri di fango logorato da vento e acqua, spiando dalle porte aperte, quando il vento alza le tende, si ve- dono cortili interni coperti da pergole di viti che assicu- rano la necessaria ombra nelle ore più calde della gior- nata. Oltre le tende ci sono la vita familiare e le abitu- dini degli uiguri: grasse matrone su letti di tappeti os- servano con sguardo da sfinge il chiasso dei bambini che giocano intorno. Stanno sdraiate, rotolano sui tap- peti, si appoggiano su grandi cuscini ricamati a mano. Offrono ricovero allo straniero che passa, una pan- chetta di legno e un po’ di ombra, del profumatissimo tè alla menta; lamentano la mancanza di lavoro e le ri- strettezze economiche in cui vivono. Le donne stanno a casa, gli uomini, se non specializzati, si arrangiano con lavori di consegne o simili. Verso sud, dopo varie città dove i caratteri cinesi vanno per la maggiore e dopo Atush, dove risiedono gli uiguri ricchi figli del petrolio, finalmente ecco Kashgar. PER LA NUOVA KASHGAR «RINGRAZIAMO “IL PARTITO”» «Di fango son le case, di fango son le strade, le mo- schee, le tombe. Solo Mao è di granito». Quest'altra af- fascinante descrizione di Terzani, va rettificata. All'ar- rivo a Kashgar l'emozione non può che essere ferita dallo spettacolo triste delle demolizioni e dagli occhi ancora più tristi dei suoi abitanti. Patrimonio culturale dell'umanità, la parte protetta dal biglietto d'ingresso è ciò che ne rimarrà. La città è oggi al centro del nuovo piano di sviluppo economico messo a punto per questa parte di Cina. Squadre di operai cinesi e qualche ui- guro si danno da fare, giorno e notte, per ricostruire su quello che è già ridiventato polvere: «Costruiamo la nuova Kashgar», «Ringraziamo il Partito per la sua at- tenzione al popolo del Xinjiang» sottolineano i cartelli in caratteri cinesi intorno alle macerie. I bambini ci gio- cano sopra, le donne stanno sedute fuori dagli usci delle case ancora in piedi. La terra secca dei muri ab- battuti è tanta che, al passarci sopra, schizza come l'ac- qua pestata in una pozzanghera. Per «offrire» case più sicure e antisismiche in tutte le città che visito ci sono lavori in corso, demolizioni e av- visi per chi ci vive di prepararsi al ricollocamento entro i prossimi cinque anni. Nelle stesse città, cercare la moschea vuol dire trovare la zona che, nel tempo, è ri- masta più intoccata e con lei panorami che mi ripor- tano nella invisibile Eufemia di Calvino 2 . Città nascoste dentro la città si fanno scoprire tra i vi- coli bassi e stretti dove giocano bambini o chiacchie- rano le donne affacciate alle finestre. I bambini uiguri sono curiosi, gentili e affettuosi con lo straniero. Lo prendono per mano per guidarlo nei vicoli o si lanciano in un abbraccio che fa tremare chi non se lo aspetta. I sorrisi che aprono i loro occhi, neri o azzurri, fanno

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