Missioni Consolata - Ottobre 1996

Muli (spesso l'unico mezzo per muoversi nelle foreste colombiane); venditore; autobus (come sempre sovraffollato. Pagina accanto: la fuga verso le città ha generato estese baraccopoli. Orejuela, capi del «Cartello di Cali>>. L'assoluzione non è stata gradita dagli americani che chiedevano le sue dimissioni. Con una supponen- za che probabilmente nasce dall'es- sere la prima potenza mondiale, gli Stati Uniti hanno cancellato il visto d'ingresso nel loro paese al presi- dente colombiano. Nonostante al- cuni inviti a rimettere volontaria- mente il mandato (pervenuti dalla gerarchia cattolica, da un gruppo di grossi industriali e da alcuni quoti- diani), Samper resiste. Anzi, proba- bilmente non è mai stato tanto po- polare come in questi mesi. «Non è necessario il visto degli Stati Uniti per governare la Colom- bia», ha detto il presidente. La sua appassionata (e furbissima) difesa contro l'intromissione dei gringos negli affari interni della Colombia è stata apprezzata dalla gente, colpita nell'orgoglio nazionale. Anche il Gruppo di Rio (che raccoglie i pre- sidenti di 14 paesi latinoamericani) ha espresso solidarietà al paese an- dino e a Samper. Dalla parte del presidente, ci so- no pure alcuni successi. Durante la sua presidenza è stato, infatti, deca- pitato il vertice del «Cartello di Ca- li»: cinque dei sette capi dell'orga- nizzazione sono finiti dietro le sbarre. Dunque, se è vero che ha fi- nanziato la campagna elettorale di Samper, il Cartello sembrerebbe a- ver fatto un pessimo affare. Indipendentemente dall'esito di questa vicenda, è chiaro che si con- ferma una tendenza: all'assenza, indifferenza o inaffidabilità dello stato colombiano va fatta risalire l'affermazione di forme di potere e di organizzazione sociale sostituti- ve di quelle istituzionali. Il paese: troppa violenza La Svizzera è il paese più cono- sciuto. Poi ci sono Liechtestein, Lussemburgo, Panama e tutta una serie di arcipelaghi e minuscole i- sole: Barbados, Bermude, Baha- mas, Caiman, Marshall, Cook, Va- nuatu e altre ancora. Non sapremo mai quanti narco- dollari sono racchiusi negli inac- cessibili forzieri dei numerosi «pa- radisi fiscali» sparsi per il mondo. Certamente tanti: almeno la metà degli enormi profitti dei narcos. Ma anche i capitali che rientrano nel paese non sono così benefici come qualcuno pensa. La questione si riassume in una domanda: il paese trae un vantag- gio economico dal narcotraffico? Abbiamo già visto che il mito delle ricadute positive per l'economia naZionale va ridimensionato in pri- mi~ dal punto di vista quantitativo. Ma anche la «qualità» lascia adesi- derare. Il tutto può essere riassunto in uno slogan: molta apparenza, po- ca sostanza. Certo, tutti sanno quanto pesi l'apparenza. Sovvenzionare la squadra di calcio del Medellin può portare più credito popolare che di- minuire il tasso di disoccupazione. L'uso spregiudicato del populismo maschera la logica del profitto. Pablo Escobar, il più noto tra i grandi narcotrafficanti, non tra- scurò alcun particolare per sedurre la sua gente. Approfittando della debolezza o inettitudine dello stato, recitò la parte del generoso, co- struendo case popolari, erigendo o- spedali, facendo installare le linee elettriche. Secondo uno studio dell' «Uni- versità delle Ande» di Bogota, il contributo del narcotraffico all 'eco- nomia colombiana è limitato. Sia in termini di formazione della ricchez- za nazionale (il Prodotto interno lordo: Pii), sia per quanto concerne la creazione di posti di lavoro. Le attività correlate alla produ- zione di droga rappresentano circa il 5 per cento del Pil. Più o meno la «NON DI SOLA COCA» 19 Missioni Consolata- Ottobre ·'96

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