Missioni Consolata - Aprile 2023

Incontriamo Gian Paolo Marras che con il suo laboratorio «Animas de Sardinia» mescola tradizione e innovazione. Mentre lavora con mani sapienti il legno di pero che formerà le maschere dei boes e dei merdules, racconta di come - imparando il mestiere dal padre - abbia presto capito che tutto ciò che serve sta nelle mani. Le proporzioni fra naso, occhi e bocca, infatti, si misurano così, utilizzando il palmo. Gian Paolo, oltre a essere un artigiano esperto, è un innovatore: ha escogitato un sistema con Qr code che, riportato sul cartellino di ogni maschera, contiene la narrazione vocale del significato della maschera stessa e dell’antico rituale del carnevale: «È necessario che le persone, acquistando una maschera, ne comprendano il valore profondo, la ritualità a essa collegata. Non si tratta solo di oggetti belli da possedere ma di veri e propri simboli di ciò che per noi sardi è la nostra cultura, da sempre legata, connessa e attenta alla natura». Campanacci d’artista Restiamo in Barbagia, ma arriviamo a Tonara (Nuoro), uno dei borghi più alti dell’isola, a Sud Ovest del parco del Gennargentu. Qui incontriamo Ignazio Floris e i suoi due figli, Marco e Salvatore. La loro azienda produce i meravigliosi campanacci che adornano le maschere. Pur essendo a gestione familiare, oggi si avvale di un apprendista che, diversamente dalla tradizione, non fa parte della famiglia, Luca. Qui si fanno campane dalla mattina alla sera. I Floris, infatti, sono iscritti alla camera di commercio come «forgiatori di campane». Marco ci spiega che, in Italia, sono forse gli ultimi a dedicarsi interamente a questa arte. In molte altre fucine, infatti, vengono realizzate non solo campane, ma anche altri oggetti. Nella forgia di Ignazio Floris, il fuoco è dedicato esclusivamente ai campanacci, in sardo tonarese «sonaggios»: ce n’è di tutte le dimensioni e ciò che conta, ciò che davvero è impressionante, è che ognuno di essi è unico. Ignazio ci racconta di aver imparato il mestiere dal padre e che per diventare forgiatori di campane è necessario soprattutto un buon orecchio. Sì, perché se per realizzare le maschere «si ha tutto nelle mani», come dice Gian Paolo Marras, forgiare i campanacci dipende dalla capacità di ascolto. Ogni campanaccio ha un suo suono, e deve essere così perché il pastore, grazie a quel suono unico e particolare, potrà riconoscere i propri animali al pascolo e rintracciarli in caso di difficoltà, pericolo, o più semplicemente per comprendere dove il gregge si stia muovendo. I campanacci Floris hanno segnato la vita di generazioni e generazioni di pastori sardi: a fine Ottocento la bottega era già attiva. Campanacci indossati dalle pecore e, durante i giorni del carnevale, prestati alle maschere. Se oggi è possibile acquistarne per adornare la propria maschera, in passato i pastori si limitavano a «spogliare» dei campanacci i propri animali e indossarli per celebrare Sant’Antonio e i riti connessi. Dall’animale all’uomo e viceversa: in Sardegna il rapporto con la natura è davvero trascendente in ogni sua espressione. Pane e «prioresse» Durante i giorni dedicati al santo, è tradizione che nessuno resti digiuno. Nei giorni precedenti, le famiglie si prodigano nella preparazione di pane e dolci tipici che verranno poi offerti a tutti coloro i quali prenderanno parte ai festeggiamenti. | MC | APRILE 2023 62 ITALIA

RkJQdWJsaXNoZXIy NTc1MjU=