Missioni Consolata - Novembre 2021

accogliere il popolo un’altra oasi, con ben dodici sorgenti (15,27): il cammino è faticoso e duro, ma non privo di sorprese anche po- sitive, di inattesi (e non promessi) squarci di respiro. QUAGLIE E MANNA (ES 16) Dall’oasi paradisiaca bisogna però ripartire, e presto si fanno sentire di nuovo la fame e la sete, insieme alla paura di sof- frirne, che forse è persino peg- gio. E allora, di nuovo, spunta la nostalgia per le «cipolle d’Egitto». La risposta divina è particolare. Dio si lamenta della sua durezza di cuore e della poca fiducia del suo popolo, ma intanto si prende cura di lui, fa cadere a terra, nell’accampamento, quaglie da mangiare (16,13). In più, al mat- tino, è presente una «cosa fine e granulosa» che lascia perplessi gli Israeliti (secondo l’autore bi- blico la domanda «che cos’è? - man hu? », avrebbe portato al nome di «manna»). Sarà il loro cibo per quaranta anni, un cibo dalle caratteristiche molto spe- ciali. Si forma intorno all’accampa- mento ogni mattina. Chi si fa prendere dall’ansia e dall’acca- parramento e ne raccoglie più di quanto gli serve, ne riempie co- munque solo un omer , una mi- sura prestabilita (non ci è nep- pure chiaro a quanto equivalga), mentre chi non riesce a racco- glierne tanta, ne avrà comunque un omer (16,16-18). Chi poi, preoccupandosi che forse il giorno dopo non ne avrebbe tro- vata, ha deciso di tenerne un po’ da parte, la trova marcita (16,20). Solo al sabato la manna non si presenta, ma quella del venerdì, raccolta in quantità doppia, non marcisce il giorno dopo (16,22- 27). Infine, quella che non era raccolta al mattino presto, con il crescere della temperatura sva- nisce (16,21). Da sempre i commentatori ebrei hanno pensato che una descri- zione così particolareggiata in- tendesse parlare anche d’altro, del nutrimento che gli esseri umani possono cercare e otte- nere in Dio, quello che po- tremmo definire la forza di af- frontare il quotidiano, la prospet- tiva di speranza, le riserve di se- renità e gioia. Niente di tutto ciò può essere accumulato: non mi è possibile oggi raccogliere il doppio di amore allo scopo di averne an- che per domani. Non mi basta la fiducia e la serenità che avevo ieri per vivere oggi. Ogni giorno ha bisogno del suo nutrimento, occorre sempre pensare al mo- mento presente, rimandando al futuro ciò che accadrà. E questo è anche il senso della preghiera di Gesù, che nell’invi- tare i discepoli a chiedere al Pa- dre il proprio pane quotidiano (Mt 6,11; Lc 11,3) sembra ricolle- garsi alla manna invitando a in- vocare il nutrimento per l’a- desso, per il giorno presente, confidando che Dio ne donerà ancora per i giorni a venire. Scoprire che il nutrimento fonda- mentale per la nostra vita non può essere accumulato, ci predi- spone di nuovo all’atteggia- mento ideale da tenere non solo verso Dio, ma in fondo anche verso tutto ciò che ci fa vivere e sorridere: tenersi lontani dall’ac- caparramento ci spinge alla fidu- cia, al confidare nel fatto che verra anche domani quello che ci è stato garantito oggi. Ciò che nella vita più conta, e che non è certo il cibo, non può essere chiuso in una dispensa: bisogna sperare e confidare che ci verrà donato giorno dopo giorno. I NEMICI IN BATTAGLIA (ES 17) Il senso profondo di questi epi- sodi è richiamato dall’ultimo in elenco, la battaglia contro Amalék, che potrebbe sembrare il meno prodigioso e miracoloso. Capita che nel Sinai le quaglie in transito cadano al suolo. Il fatto che passino così vicine e ne ca- dano così tante da sfamare un popolo proprio quando questo chiede da mangiare, sembra una coincidenza miracolosa. La de- scrizione della manna fa pensare alla resina della tamerice o a una secrezione di alcuni insetti che vi Un cammino di libertà 18 novembre 2021 MC vivono sopra, ma la sua quantità e regolarità possono stupire. Meno miracolosa appare la vitto- ria sui nemici. Che nel deserto vi- vano tribù di seminomadi, com- battive ma poco numerose, in- fatti, non è mai stata una novità, e un popolo così numeroso come quello ebraico poteva im- maginare di batterle senza pro- blemi. Ma proprio qui si svela che a fare sopravvivere il popolo non è la sua stessa forza, il suo numero o la sua capacità, bensì la pre- senza di Dio. Lo si ribadisce in un modo che potremmo definire quasi ingenuo e «magico», per- ché Israele, nella battaglia con- tro Amalék, ha la meglio solo fino a quando Mosè riesce a im- petrare da Dio la salvezza te- nendo le braccia sollevate al cielo, e perde quando Mosè, stanco, abbassa le braccia. Fin- ché non arrivano Aronne e Cur a tenergliele sollevate, fino alla vit- toria (17,12). La nostra sensibilità resta infasti- dita da tali scene di battaglia, spesso condite dallo sterminio dei sopravvissuti (17,13), ma dob- biamo ricordarci che qui è ampia la nostra distanza culturale da chi ha scritto e leggeva queste pa- gine. Quel mondo era abituato a vedere e subire crudeltà e vio- lenza, e probabilmente percepiva che nello sterminio finale c’era più cliché e narrazione stereoti- pata che descrizione storica di un massacro realmente avvenuto. A essere significativo e centrale, nel racconto non è tanto la vitto- ria del popolo, ma come essa av- venga, cioè grazie all intervento di Dio. In fondo questa scena chiarisce, in modo molto visivo e apparentemente un po’ ingenuo, quello che nel corso del libro si dice regolarmente, ossia che a far vivere gli ebrei non è l’intelli- genza o la forza umana, ma la re- lazione con un Signore che li ha liberati e, in più, non cessa mai di prendersene cura, offrendo ac- qua, cibo, sopravvivenza e sicu- rezza. E che in cambio chiede solo di fi- darsi di lui. Angelo Fracchia (Esodo 9 - continua)

RkJQdWJsaXNoZXIy NTc1MjU=