Missioni Consolata - Ottobre 2015

OTTOBRE 2015 MC 47 guarire e infine vedere le cose con occhi diversi, con un altro cuore e con motivazioni molto più profonde che non fossero soltanto quelle emotive. Come, per esempio, era quella di vedere «l’indi- geno come buon selvaggio». Quello che più mi ha colpito durante i dieci anni - dal 2001 al 2011 - tra- scorsi nella Missione Catrimani è stato sperimen- tare il Dio della vita accanto a un popolo con lin- gua, costumi, tradizioni, spiritualità, mistica e or- ganizzazione sociale completamente diversi da quelli che avevo vissuto fino ad allora. Ricevetti un’enorme eredità dai missionari, la maggior parte di loro italiani, rimasti per molti anni tra gli Yanomami che essi avevano fatto co- noscere al mondo, a dispetto delle molte polemi- che - all’interno della chiesa e dell’istituto - per un impegno più a favore della vita che della dottrina e della evangelizzazione. Primo missionario brasiliano a rimanere così a lungo tra gli Yanomami di quella missione, con una nuova equipe e meno risorse finanziarie ri- spetto a coloro che ci avevano preceduto, nei dieci anni trascorsi a Catrimani assistetti alle grandi sfide cui la missione fu chiamata. Qui di seguito ne ricorderò qualcuna. Catrimani, centro di resistenza Verso la metà degli anni Settanta i governi brasi- liani promossero la costruzione della Perimetral norte o Br-210, che causò molti disastri nelle popo- lazioni indigene e tra gli Yanomami in particolare. Così facendo favorirono l’ingresso di migliaia di minatori ( garimpeiros ) nei territori degli Yano- mami e promossero lo sfruttamento delle ric- chezze minerarie provocando un genocidio degli indigeni, attraverso epidemie e scontri di ogni ge- nere. Inoltre, a causa della strada, sempre più agricoltori iniziarono ad avanzare sulle terre indi- gene. In questo contesto, insieme con gli Yano- mami la Missione Catrimani divenne un centro di resistenza alle invasioni e di critica alle politiche poste in essere dalle autorità brasiliane. Vari anni dopo, proprio nel periodo in cui ero a Catrimani, Brasilia cambiò strategia chiedendo alla nostra missione di seguire l’attuazione di al- cuni programmi di salute. Il governo esigeva però risultati immediati: tempestiva esecuzione di tutti i programmi, riduzione della mortalità, soprat- tutto di quella infantile. Non dava seguito ai suoi obblighi, ma tuttavia esigeva e faceva pressioni. Attraverso questi programmi la missione venne «invasa» da tecnici sanitari che però non prova- vano alcun interesse per la causa indigena e nes- suna comunione d’intenti con la chiesa e con l’e- quipe missionaria. A causa del cambio delle equipe di lavoro e del trasporto di indigeni in città triplicò il viavai sia per la strada (finché essa fun- zionò) che per via aerea. I gerenti di questo pro- getto, che stavano a Boa Vista, dialogavano poco con l’equipe e i missionari erano chiamati in causa per cose che non competevano loro o per le quali non erano preparati. I missionari stavano lì per la formazione sanitaria, l’istruzione, l’accompagna- mento, per stabilire un dialogo interreligioso e in- terculturale con le comunità yanomami. Non erano lì per soddisfare le esigenze strutturali e logistiche del programma di governo e dei tec- nici che si turnavano a brevi intervalli. L’equipe missionaria era vista come «manodopera a basso costo», e ovviamente questo causò molti conflitti, malessere nelle persone e di conseguenza nel la- voro missionario. Il denaro e le sue conseguenze Al primo incontro a cui partecipai alla missione rimasi scioccato. Alcuni giovani che erano stati preparati in microscopia e come agenti di salute e che fornivano un servizio gratuito alle loro comu- nità si confrontavano con i missionari affermando che, se non fossero stati pagati, non avrebbero più svolto questi servizi. Molto era stato investito nella loro preparazione e, soprattutto, sulla pro- spettiva della gratuità. Ma ora veniva prevista una remunerazione per questi giovani e in seguito essi avrebbero lavorato con un contratto formale. Più tardi lo stesso sarebbe accaduto con gli inse- gnanti. Il significato e il mutamento che i soldi nelle mani di questi giovani produssero furono (sono) molto profondi. Iniziarono a prendere il po- sto degli anziani nelle relazioni con i non indigeni e nel cercare di soddisfare alcuni bisogni fonda- mentali della comunità (machete, asce, reti, nasse, tabacco, sale, ...); non era (è) più necessario essere un buon cacciatore, pescatore e raccoglitore per In alto : mani di donna impastano la «farinha» di manioca, con la quale si preparano le focacce chiamate «beijù». Pagina precedente : una donna cuoce le focacce poste su un piatto di terracotta (o di metallo). DOSSIER MC L’INCONTRO © Daniele Romeo / 2015

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