Missioni Consolata - Agosto/Settembre 2015

40 MC AGOSTO-STTEMBRE 2015 l’Opera Lettone. Ho quarant’anni e quattro figli, rimasti a Jour- mala con i nonni. Ora sono parcheggiata qui, “mamma-musicista-sognatrice utopica”. Una bel- lissima donna, mi dicono. Un enigma impossibile, ribatto io. Mi manca il Golfo di Riga, con quella sua macchia scura centrale a forma di cuore: quanta vita ho dedicato ad ammirare quel piccolo isolotto, Ruhnu, immaginando le sue spiagge de- serte, il gusto del freddo e di una skābputra 3 fu- mante, sorseggiata in silenzio. Quel silenzio. Brī- nums 4 , mi veniva da pensare, era un miracolo. Se- guivo il volo delle cicogne e cercavo le ali degli an- geli tra le nuvole. Non avrei mai creduto di avere il coraggio di abbandonare tutto. Italia per me significa amore, rinascita, speranza. Ma significa anche abbandono, rischio. Falli- mento. Il mio ego musicista ha trovato l’Eden: uno spazio per esprimersi, per mettersi in gioco, per farsi adulare e applaudire. Una parte del mio cuore è riuscita a scorgere un nido, ad assapo- rarne il tepore, a desiderarne la protezione come una droga; cosa rimane invece della Inese mamma? Cosa rimane di quella donna dolce e premurosa, quella che il sabato preparava gli sklandu rauši 5 per i suoi bambini? Mi sento svuo- tata. Svuotata come una cartuccia di inchiostro rosso appena finita, in cui il colore ha lasciato traccia di sé; presto però non ne rimarrà che l’in- volucro, uno sterile pezzo di plastica. Capricciosa ed egoista. Questo è il mio pensiero mentre l’inse- gnante mi scruta, sono stata egoista. Non riesco a spostare lo sguardo: la massa di ric- cioli fulvi che cadono a grappoli sulle spalle della Arrossisco, incredula di aver davvero formulato questo pensiero innocente. Sposto lo sguardo ol- tre a questo pancione coperto di rosso e osservo le mani delle altre compagne, le loro rughe, le loro scarpe, i loro sguardi disorientati, i loro monili di legno. L’insegnante inizia a fare l’appello ed è come se capissi che tutto il mondo non è paese, che il segreto è nella scoperta, nella tacita convi- venza in questo spazio arcobaleno di storie non raccontate, di desideri inseguiti, di tenacia. E di nostalgie addomesticate. Inese Sta scorrendo l’elenco, ecco, ci siamo quasi. «Ines?»... Lo sapevo. Scontato. «Inese. Mi chiamo Inese!». L’insegnante prende dall’astuccio una matita e traccia un piccolo segno orizzontale sul registro, forse proprio sotto quella “e” del mio nome che gli italiani non vogliono pro- nunciare. Oggi è il mio primo giorno di scuola, di scuola ita- liana. Mio marito Giorgio mi ha proposto questo corso di alfabetizzazione, ma io sono scettica, de- cisamente scettica. Conosco un solo linguaggio importante, quello della musica, quello che da Riga mi ha catapultata fin qua, sulle arie di Ene- scu, di Ravel, di Brahms. Quel linguaggio che da bambina mi ha affascinata così tanto da obbli- garmi a vendere i pattini da ghiaccio per tre le- zioni di solfeggio in più; quel mondo che poi, da adolescente, mi ha permesso di ricomprarli, quei pattini, con i guadagni dei concerti al Teatro del- © Af Missioni Consolata

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