Missioni Consolata - Luglio 2015

LUGLIO 2015 MC 71 da prestare a chi è malato, sofferente o debole, e l’invito da mettere al centro della vita di tutti i giorni i poveri, ti renderai conto che il suo messaggio era una vera rivolu- zione. Già, ma Gesù di Nazareth non si era limitato a quello, aveva anche detto che la violenza non era una strada da percorrere, perciò come si conciliava quest’affermazione con la politica dell’Impero di cui le legioni romane erano il «braccio armato»? Guarda, pur essendo noi militari inquadrati in una delle più superbe legioni romane, il nostro compito non era di far del male ad altri, ma di difendere quello che era il ter- ritorio di Roma dalle invasioni dei popoli barbari. Dove- vamo difendere i suoi cittadini, le sue leggi, la sua cul- tura, in una parola quella che veniva chiamata la «Pax Romana». Era per quello allora che ti trovavi di stanza nelle Alpi? Con i miei legionari ero stato destinato in quelle zone per contrastare le continue sommosse e rivolte dei Galli tra i quali la tribù dei Bagaudi composta in gran parte da «te- ste calde» che mal sopportavano la disciplina e le leggi di Roma. Noi avevamo il compito di mantenere l’ordine nelle vallate alpine. È vero che voi avete scritto una lettera all’Impera- tore manifestando la vostra fedeltà a Roma, ma ri- badendo il principio secondo cui, come militari di fede cristiana, avevate il compito di difendere, oltre che il territorio, i più deboli e i più indifesi? Proprio così! Noi scrivemmo all’Imperatore dicendo: «Siamo tuoi soldati ma anche servi di Dio, cosa che noi ri- conosciamo francamente. A te dobbiamo il servizio mili- tare, a Lui l’integrità e la salute, da te percepiamo il sala- rio, da Lui il principio della vita. Alzeremo le nostre mani contro qualunque nemico, ma non le macchieremo mai con il sangue degli innocenti. Noi facciamo professione di fede in Dio Padre Creatore di tutte le cose e crediamo che suo Figlio Gesù Cristo sia Dio». Non c’è che dire, una lettera coraggiosa! Che nasceva dalla convinzione che l’essere cristiani e, in modo particolare, vivere la condizione di soldato al servi- zio delle leggi di Roma ci rendeva leali cittadini, fedeli sudditi dell’Impero, ma anche difensori dei più deboli che si affidavano a noi per poter vivere e lavorare tran- quillamente. Nel contempo la fede in Cristo ci impediva di usare violenza verso le popolazioni inermi e di com- mettere soprusi gratuiti. Il servizio militare, obbligatorio per ogni cittadino romano, era parte integrante della vita, in quanto ogni maschio valido doveva impegnarsi a difendere Roma, a diffondere le sue leggi, a espandere la ci- viltà che essa incarnava. Pur non deponendo le armi, anzi, avendone cura non proprio come arma di offesa quanto piuttosto di difesa, si può dire che per la prima volta nella storia l’utilizzo delle forze armate era visto, grazie a noi, non tanto come un’occasione per conquistare territori, quanto piuttosto come un mantenimento integerrimo e responsabile della pace e dell’ordine, e come contributo alla sicurezza della gente. Grazie al nostro esempio quindi, le legioni romane erano percepite non tanto come truppe di occupazione ma come garanzia di pace e tranquillità, il tutto ovvia- mente in una visione globale in cui Roma «Caput Mundi» riscuoteva le tasse, mentre le legioni garantivano la pace. vamo quindi coscienti che sopra di tutti c’era Dio Padre che per manifestare agli uomini il suo Amore e la sua te- nerezza aveva mandato sulla terra il Figlio suo Gesù Cri- sto per rivelarlo, e nonostante fosse stato condannato e crocifisso, dopo tre giorni era risuscitato e aveva inviato lo Spirito Santo, tramite i suoi Apostoli, a vivificare la terra. Voi che avete conosciuto questo messaggio di sal- vezza diverse generazioni dopo l’annuncio dei primi discepoli, come vi rapportavate a quello che era il nucleo centrale della fede cristiana? Attraverso l’insegnamento di Gesù avevamo preso co- scienza che ogni essere umano, uomo o donna che fosse, nasceva con la stessa dignità di fronte a Dio, fosse egli fi- glio di uno schiavo o di un membro del Senato di Roma, quindi tutti gli uomini di fronte a Dio erano sullo stesso piano, un’uguaglianza in dignità che aveva dello straordi- nario. Una novità questa di difficile comprensione per la mentalità vigente nell’antica Roma in cui la divisione tra plebe e patriziato, tra cittadini romani e popoli barbari era fortemente radicata. L’invito a perdonare chi ti of- fende, il rifiuto della vendetta su chi ti fa del male, erano cose inaudite ai miei tempi. Se poi aggiungi l’attenzione # A sinistra : particolare di pala d’altare con s. Maurizio di Matthias Grünewald. Notare il volto «africano» del santo. Qui sopra : il martirio della Legione in un quadro di El Greco (1541-1614). Pagina seguente : lo stesso martirio nell’inter- pretazione di Jacopo Carrucci da Pontormo (1494-1557). • Santi | Obiezione di coscienza | Martirio • MC RUBRICHE

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