Missioni Consolata - Luglio 2015

esempio, l’Uganda ha ottime leggi su gestione dei fondi pubblici e lotta alla corruzione ma poi, nella pratica, le leggi sono applicate po- chissimo. Bisogna allora chiedersi prima di tutto che cosa è fattibile e che cosa no in contesti politici difficili come quelli dei paesi in via di sviluppo e sostenere i cambia- menti che nascono dentro questi contesti per iniziativa dei diretti in- teressati: politici, società civile, co- munità e imprese locali. «Il motivo del fallimento», spiega l’operatore, «è che avrei dovuto essere più paziente, aspettando che le donne fossero in grado di mettere oltre il 75% del proprio capitale nel progetto; avremmo anche dovuto iniziare con più fondi, 300 invece di 120 dollari. In questo modo, le donne avrebbero potuto comprare subito tutto il materiale necessario e cominciare a pagarsi invece di vedere i soldi accumularsi per i successivi acqui- sti di attrezzature. Il capitale sa- rebbe stato in beni non liquidi, loro avrebbero sviluppato un maggior attaccamento al progetto e non avrebbero avuto contanti che non sapevano dove conser- vare senza che mariti e figli li ve- dessero e li chiedessero». L’unico vero fallimento «cattivo» è quello che si ripete, conclude Ad- mitting Failure . E il britannico Overseas Development Institute (Odi), che è entrato nel dibattito sugli «Obiettivi Sostenibili del Mil- lennio» con uno studio dal titolo Adattare lo sviluppo , sembra es- sere d'accordo: «Non bisogna aver paura di provare, fallire e ripro- vare», si legge nel documento. Se- condo l’Odi, che si rivolge ai go- verni, a chi fa le riforme nei paesi in via di sviluppo, ai donatori inter- nazionali e alle Ong, i fallimenti sono spesso dovuti al fatto che ci si concentra più su modelli ideali che sui problemi concreti. Ad Cooperando… 66 MC LUGLIO 2015 Una tesi non dissimile era emersa chiaramente anche al convegno «Africa, continente in cammino», organizzato dai mis- sionari e missionarie Combo- niani nel marzo scorso: «Deve essere l’Africa a salvare l’Africa», si era detto in quell'occasione. Il ruolo di chi fa sviluppo - non solo in Africa - è quello di favorire, non dirigere (o peggio, ostaco- lare), il cambiamento. Chiara Giovetti

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