Missioni Consolata - Luglio 2015

cietà mineraria od ogni altro individuo che estrae diamanti, lo fa in modo illegale. Ma controllare i bacini diamantiferi è quasi impossibile. Le popo- lazioni locali infatti comprendono immediata- mente come sia facile estrarre le pietre e quale grande valore esse abbiano. Quindi prende il via un’attività artigianale di sfruttamento dei giaci- menti che, sebbene contrasti la legge, diventa fio- rente. «In quel periodo - spiega Lorenzo D’Angelo, an- tropologo, docente dell’Università Cattolica di Mi- lano - l’estrazione artigianale aveva anche una va- lenza politica. Era un modo per danneggiare gli interessi coloniali perché sottraeva risorse alla potenza occupante. Già in periodo coloniale si creano tensioni intorno alle miniere e alla loro ge- stione. Nella regione del Kono, nasce addirittura un partito che rivendica una partecipazione mag- giore dei sierraleonesi nella gestione delle ri- sorse». Con l’indipendenza, però, la situazione non muta molto. La nuova classe politica, legata ancora alla Gran Bretagna, lascia la gestione dei bacini nelle mani della Sierra Leone Selection Trust . Ma, an- che quando il presidente-dittatore Siaka Probyn Stevens decide di nazionalizzare la compagnia, lo fa non per favorire la crescita del paese, bensì per accaparrarsi una fonte di reddito sicuro per sé e il suo gruppo di potere. Non è un caso che, quando nel 1985 Stevens lascia il potere, il paese è allo stremo. Le differenze sociali sono stridenti e la povertà dilaga. La Sierra Leone è come un barile di dinamite pronto a esplodere alla prima scin- tilla. La guerra civile La scintilla si accende nel 1991 quando un gruppo di soldati addestrati penetra dalla Guinea nella regione del Kono (dove si concentrano i principali depositi diamantiferi) e inizia ad attaccare i vil- laggi e a reclutare civili in modo forzato. Il con- flitto si infiamma e si estende a tutto il paese. La guerra civile sierraleonese diventa famosa in tutto il mondo per la brutalità con la quale viene combattuta: le stragi di civili (alla fine i morti sa- ranno 120mila), le mutilazioni di diverse migliaia di persone, l’arruolamento di bambini soldato, le violenze sulle donne. E anche per l’estrazione e l’esportazione illegale di diamanti. «Da molte parti - continua D’Angelo - si sostiene che il controllo dei bacini diamantiferi fosse la ra- gione più profonda del conflitto sierraleonese. Io sono dell’avviso che la causa della guerra civile sia stata l’ingiustizia sociale, la corruzione, lo sfruttamento. I diamanti servivano solo ad ali- mentare il conflitto. Erano la merce di scambio con la quale le parti acquistavano armi, equipag- giamenti e cibo. Certo, negli ultimi anni, quando i miliziani hanno perso il senso di ciò che facevano, il controllo delle miniere era un modo per arric- chire i capi, ma all’inizio non era così». L’esportazione avviene secondo uno schema già collaudato prima della guerra. I diamanti ven- gono venduti dalle parti in conflitto all’estero e da qui verso i mercati internazionali. I paesi confi- nanti, Liberia e Guinea, entrano nel novero dei maggiori esportatori di diamanti, pur avendo un numero decisamente inferiore di miniere rispetto alla Sierra Leone. I proventi della vendita delle preziose pietre non alimentano solo la guerra in Sierra Leone. «Il traffico dei diamanti in Africa occidentale - osserva D’Angelo - viene controllato in gran parte dalla comunità libanese che, già ne- gli anni Ottanta, destinava una parte dei proventi dell’estrazione illegale al sostegno delle milizie che si combattevano in Libano». Un popolo di minatori La cessazione delle ostilità, dichiarata il 18 gen- naio 2002 dal presidente Ahmad Tejan Kabbah, non cambia molto le cose. Il paese è devastato da undici anni di guerra. Le infrastrutture sono di- strutte. Le attività commerciali devono essere ri- lanciate. La popolazione ha sofferto moltissimo per le violenze. Nonostante gli aiuti internazio- nali, la Sierra Leone fatica a riprendersi. La nuova classe politica scommette di nuovo sulle risorse minerarie. Il paese, pur essendo molto piccolo, è ricchissimo non solo di diamanti, ma anche di ferro, rutilio (utilizzato per produrre il ti- tanio), bauxite (indispensabile per produrre allu- minio), oro, platino e cromo. Molte miniere vengono riaperte. «Il valore del ferro in piccole quantità è risibile e quindi l’estra- zione a livello artigianale non ha alcun senso - os- serva D’Angelo -. Le miniere di ferro, come quelle di bauxite e di rutilio, devono quindi essere sfrut- tate con tecnologie in grande scala cosa che può essere fatta solo da grandi compagnie minerarie. Diverso il discorso per l’oro e i diamanti». In un paese dove la disoccupazione è altissima (70%) il miraggio di diventare ricchi oppure an- che solo di trovare un lavoro che permetta di ti- rare avanti è fortissimo. Molti ragazzi diventano così minatori artigianali. Lavorano fino a 20 ore al giorno per una paga che va dai 2 ai 5 euro e che arriva fino a 12 euro se trovano un diamante. I co- sti sociali sono elevatissimi. I ragazzi (spesso bambini) abbandonano la scuola consegnadosi a un futuro di analfabetismo. Una ricerca dell’Ong International Human Rights ha denunciato le pessime condizioni di vita e di la- voro. I bambini sono costretti a portare ogni giorno sulla testa sacchi di 30 e più kg e a vivere nei giacimenti senza protezioni per gli infortuni. Il cibo è scarso e nei villaggi non c’è assistenza medica. Le miniere sono gestite da sierraleonesi che sono riusciti a strappare una licenza di estrazione. Questi si prendono i minerali estratti e sottopa- LUGLIO 2015 MC 45 DOSSIER MC MINERALI

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