Missioni Consolata - Giugno 2015

44 MC GIUGNO 2015 prendendo una serie di azioni che, alla fine, emar- ginarono So Phim dalla cerchia dirigenziale, de- cretandone prima l’espulsione e poi la morte. A rendere insostenibile la posizione di So Phim, contribuì anche la collocazione geografica della Zona Orientale, posta ai confini con il Vietnam, cosa che induceva l’ala dura dei Khmer Rossi a credere che Hanoi stesse infiltrando spie e colla- borazionisti al fine di sottomettere l’intera na- zione cambogiana. L’invasione del Vietnam Lo scontro fu inevitabile e il 7 gennaio 1979 le truppe vietnamite entrarono a Phnom Penh de- cretando la fine di Kampuchea Democratica. L’invasione vietnamita (perché di invasione si trattò) portò il mondo occidentale a insorgere pressoché compatto contro quella che esso consi- derava una guerra di espansione ai danni di un governo regolarmente accettato sul piano diplo- matico internazionale. A chi giustificava l’inter- vento di Hanoi portando le prove della durezza del governo di Pol Pot, veniva risposto che nessun paese aveva il diritto di imporre la propria poli- tica a un altro, anche se questo negava i diritti umani dei propri cittadini. Poche settimane dopo, però, si consumò un altro dramma del tutto si- mile a quello in atto nel Sud Est Asiatico: in Africa, le forze armate tanzaniane costrinsero il dittatore ugandese Amin Dada a lasciare il po- tere, sostituito da Obote. Questa volta il colpo di stato non venne condannato dall’Occidente che, anzi, mostrò chiari segni di approvazione. Il confronto tra i due avvenimenti venne portato come esempio di faziosità dell’Occidente da chi riteneva giustificato il rovesciamento cruento di Pol Pot. Le Nazioni Unite continuarono per diversi anni a riconoscere Kampuchea Democratica come legit- timo e unico rappresentante del popolo cambo- giano. La guerra civile cambogiana si protrasse fino al 1998, anno in cui Pol Pot morì dopo essere stato processato e accusato di tradimento dai suoi stessi ex compagni. Le regioni occidentali, assieme ad Anlong Veng, la cittadina nella quale si era arroccata la diri- genza comunista, passarono sotto il controllo di Phnom Penh che, per evitare il pericolo di una nuova rivolta, vi incentivò il trasferimento di nuovi abitanti in modo da diluire la componente fedele ai Khmer Rossi. Ancora oggi un viaggio ad Anlong Veng e a Pailin, l’altra città sul confine thailandese rifugio degli ultimi dirigenti khmer rossi, rappresenta una sorta di deja vu nella storia cambogiana. Non è raro incontrare gente che ricorda con nostalgia il periodo in cui erano i Khmer Rossi ad ammini- strare la regione: i lavori di sviluppo agricolo in- trapresi sotto la direzione dei tecnici comunisti dopo gli anni Ottanta, avevano portato un benes- sere diffuso e il livello di vita degli abitanti era de- cisamente superiore a quello registrato nelle zone poste sotto il controllo governativo. La vici- nanza con il confine thailandese garantiva, inol- tre, un rifornimento pressoché continuo di qual- siasi tipo di manufatti e prodotti provenienti da tutto il mondo. Hun Sen, padre-padrone La resa dei Khmer Rossi nel 1998 obbligò la co- munità internazionale a chiedere a gran voce un processo per i crimini da loro commessi tra il 1975 e il 1979. Un atto dovuto, ma che non ha mai fatto piacere a nessuno. Un processo equo coinvolgerebbe troppi attori che dovrebbero dare spiegazioni sui loro compor- tamenti prima, durante e dopo l’avvento dei Khmer Rossi al potere. L’Occidente e le stesse Nazioni Unite dovrebbero, ad esempio, spiegare gli aiuti diplomatici, finanziari e militari dati ai Khmer Rossi dopo il 1979; Sihanouk (morto nel 2012) avrebbe dovuto spiegare a un’eventuale giu- Sopra : una vista di Angkor Wat, sito archeologico di enorme rilevanza da tempo in pericolo. Pagina seguente : venditrici di insetti in un mercato di Phnom Penh.

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