Missioni Consolata - Maggio 2015

A ll’Expo di Milano, ci sono tutti: Capi di stato, governi, istituzioni internazionali, imprese e orga- nizzazioni della società civile. Davanti a milioni di visitatori ammaliati, di- scutono di questioni alimentari e si sforzano di dimostrare, con le parole e con la pratica, come si può nutrire il pianeta, rigenerando la vita. Di fronte a tanta energia positiva, a tanto impegno e competenze, viene spontaneo chiedersi perché non ci si è pensato prima, perché bisognava organizzare un’esposizione univer- sale per trattare di un tema che è al centro della sopravvivenza umana? Era proprio necessario organizzare un evento così grande, con investi- menti così ingenti e con gli strascichi di malversazioni che lo hanno ac- compagnato, specie all’inizio, quando i controlli non erano stati ancora attivati? Non ci si poteva se- dere attorno a un tavolo e trovare le soluzioni? Non sarebbe stato meglio mettere in pratica le raccomanda- zioni e i piani di azione che negli anni le agenzie dell’Onu specializ- zate, la Fao, il Programma alimen- tare mondiale e Ifad, hanno messo a punto in decine di conferenze, ricer- che e documenti? Da tempo si poteva agire per sot- trarre alla fame 840 milioni di per- sone che ancora ne soffrono, e sal- vare dalla malnutrizione i 161 mi- lioni di bambini che ne sono colpiti. S emplicemente perché viviamo in un mondo complesso e sba- gliato dove chi è povero e de- bole non riesce a far sentire la sua voce, né a influenzare le scelte poli- tiche ed economiche. Per questo ci voleva l’Expo, perché le persone comuni, i consumatori, i giovani capissero e dicessero: basta, facciamo qualcosa! Perché fosse chiaro quello che il Mahatma Gandhi intuiva quasi cento anni fa: «La terra produce ab- bastanza per soddisfare i bisogni di tutti, non l’avidità di pochi». Tutti gli abitanti del pianeta potreb- bero ricevere una nutrizione suffi- ciente e di qualità se ci fosse un po’ di giustizia in più, se si mettesse un freno al monopolio delle risorse ne- cessarie per produrre e distribuire il cibo: terra, acqua, capitali. O ggi queste risorse sono con- centrate nelle mani di poche grandi imprese: sette multina- zionali controllano il 70 per cento del mercato dei semi, dieci si spartiscono le forniture di pesticidi, nel mercato dei cereali 9 transazioni su 10 sono controllate da quattro corporations . I grandi marchi che dominano la distri- buzione sono una decina: Nestlè, Kraft, Unilever, Pepsi, Mars, Danone, Kellodg’s, General Mill, Coca Cola. Sono loro che decidono cosa dob- biamo mangiare: cibo sano che ci mantiene in salute o cibo spazzatura che aumenta il rischio di malattie. Sempre loro indirizzano la ricerca scientifica nel settore alimentare, per la quale è più profittevole stu- diare ortaggi a lenta maturazione per rifornire le tavole del mondo ricco piuttosto che piante resistenti alla siccità per nutrire le popolazioni dell’Africa saheliana. Sono le grandi imprese dell’agroin- dustria che, per garantirsi i profitti futuri, si accaparrano le terre e le fonti d’acqua comprandole da go- verni irresponsabili e corrotti in paesi dove i poveri sono sempre di più e contano sempre meno. Queste imprese sono venute al- l’Expo di Milano a mostrare le loro strabilianti innovazioni e le loro merci evolute con l’obiettivo di te- nere alta la propria reputazione. Sanno, infatti, che la riprovazione pubblica e la condanna morale dan- neggiano i buoni affari. Fortunatamente la denuncia delle loro responsabilità non rimane più circoscritta a pochi ostinati, a livello politico e tra i cittadini si sta diffon- dendo l’idea che il loro comporta- mento va tenuto sotto controllo. L’Ocse e l’Onu hanno promosso le «Linee guida» per le imprese in ma- teria di ambiente e impatto sociale. L’anno scorso il Consiglio per i diritti umani delle Nazioni Unite ha appro- vato un’importante risoluzione per la quale si arriverà ad adottare uno strumento legalmente vincolante, che potrà sanzionare le imprese col- pevoli di violazioni dei diritti umani. Alcune Ong hanno attivato sistemi di monitoraggio in numerosi paesi del mondo ed esiste una piat- taforma creata dal Center for Busi- ness and Human Rights, un ente non profit che ha sede a New York, con- sultabile dai consumatori per valu- tare le politiche e la condotta delle imprese dal punto di vista sociale e ambientale. Come visitatori e come organizza- zioni sociali siamo presenti a Expo anche per questo, per dire alle grandi imprese che il loro gioco non ci piace e che vogliamo cambiare le regole. CIBO: BISOGNO DI TUTTI MONOPOLIO DI POCHI Un pugno di multinazionali controlla il 70% dei semi. E quattro gestiscono il 90% della distribuzione di alimenti. Sono loro che decidono cosa mangiamo. Le risorse per produrre cibo - terra, acqua, capitali - sono sempre più appannaggio di pochi. 68 MC MAGGIO 2015 Eticamente di Sabina Siniscalchi , Fondazione Culturale Responsabilità Etica PERSONA, ECONOMIA, FINANZA • Cibo | Sementi | Alimentazione

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