Missioni Consolata - Maggio 2015

DAI LETTORI Cari mission@ri MAGGIO 2015 MC 5 essa non ne è neppure una parte. Un altro fatto riguarda la messa: la predica deve essere ascoltata nel più assoluto silenzio (ho sentito rimproveri alle madri con bambini mol- to piccoli o turbolenti; e dove li lasciano?), ma la raccolta delle offerte è fatta durante la recita del Credo (che dovrebbe essere il momento di i- dentificazione comunita- ria per eccellenza), e se i partecipanti sono nume- rosi e il sagrestano è so- lo si rischia di portare tale raccolta fino al Pa- dre nostro; è possibile un simile sovvertimento di valori? L’omelia, la parte più umana, discu- tibile, spesso la più stan- tia deve essere privile- giata rispetto ai momen- ti più definenti e caratterizzanti? Senza contare (e anche qui don Farinella mi potrebbe essere d’aiuto) che ec- clesia significa comu- nità, e soprattutto comu- nità non organizzata ge- rarchicamente, e omelia significava dialogo, con- fronto, non ascolto supi- no, spesso volte distratto o annoiato; e questo di- pende anche dal predi- catore. Riempire le anime È certo difficile fare pro- poste: le chiese luterane e calviniste, che sono da sempre più attente alla Parola, conoscono una crisi forse ancora supe- riore a quella della chie- sa cattolica. Ma è co- munque evidente che su questa via non si creano né buoni cristiani, né semplicemente persone messe in crisi dalla loro professione di cristiane- simo. Sono consapevole, e qualcuno me l’ha ri- cordato, che le celebra- zioni liturgiche finiscono FRANCHEZZA SULLA CHIESA Sono un lettore della vo- stra rivista di cui apprez- zo la franchezza genero- sa, e desueta, con cui parla dei p opoli e delle nazioni del mondo, e so- no stato so rpreso anche del coraggi o con cui, parlando d el Cern nel numero di dicembre, P. Pescali rico nosce che la scienza è ri uscita ad uni- ficare gli uo mini più delle religioni; u n riconosci- mento cert o non facile per una rivi sta religiosa, e neppure del tutto vero per quanto riguarda la stessa scienza, di cui co- nosciamo le manipola- zioni passate e della cui onestà di ricerca non sia- mo sicuri neppure per l’avvenire. Con la stessa franchezza vi dico che mi sembra inutile l’allegato sull’Allamano, troppo a- criticamente agiografico, così come non trovo lo stesso coraggio quando affrontate i problemi del- la Chiesa, soprattutto della sua gerarchia. Ca- pisco che non si può par- lare di corda in casa del- l’impiccato, ma credo che una maggiore schiettezza non danneg- gerebbe ne voi né la Chiesa stessa; ricordate Rosmini. La pratica liturgica In un inserto di qualche mese fa, curato da p. A. Rovelli (di cui sono com- paesano, così come lo sono di p. G. Rigamonti), il problema della crisi della Chiesa è stato af- frontato con onestà, ma, a mio giudizio, tacendo su un fenomeno che la caratterizza da sempre e che reputo uno degli ele- menti insieme più limi- tanti e più da rivedere: intendo il peso che ha in essa la pratica liturgica e cultuale. Che è centrale nella Chiesa contempo- ranea, come nella Chie- sa da sempre, almeno dalla sciagurata età co- stantiniana in poi, ma che non trova fondamen- to nel Nuovo Testamento (e qui mi potrebbe esse- re d’aiuto p. Farinella, di cui auspico ed attendo il ritorno sulle vostre co- lonne). Non ci sono nei vangeli e nell’intero cor- pus neo-testamentario esortazioni a funzioni re- ligiose, anzi per lo più se ne parla in senso molto critico: vedi la parabola del fariseo e del pubbli- cano, l’esortazione ad abbandonare il sacrificio per conciliarsi con il fra- tello, la stessa preghiera del Padre nostro, che sembra letteralmente strappata a Gesù dai suoi discepoli. L’unico caso che sembrerebbe smentirlo è l’istituzione dell’eucaristia, ma il fat- to che già ne parli Paolo (I Cor. 11, 23-26) e con gli stessi accenti che trovia- mo nei sinottici - e Paolo non ha avuto nessuna conoscenza diretta del Cristo - fa capire che il memoriale appartiene già alla prima comunità cristiana come momento di consapevolezza di sé più che alla verità stori- ca dell’evento. E questo si inserisce perfetta- mente nella predicazio- ne del Cristo, che non in- tende sostituire i vecchi sacrifici e le vecchie li- turgie, ma si propone di creare una mentalità ed un’etica nuova, un uomo «altro» sia rispetto al modello dell’ebreo che del pagano. Certo mi direte che la li- turgia non fa male a nes- suno, ed in fondo racco- glie la comunità dei cre- denti in un atto di riaffermazione di iden- tità e di comunanza di fede. Ma è proprio l’ave- re puntato soprattutto sulla liturgia che ha reso marginale l’elemento di- rompente dell’annuncio cristiano, ovvero l’uomo nuovo e l’etica nuova. D’altra parte, a memo- ria, le esortazioni che sento e che sentivo sono sempre quelle, riduttive: «sei andato a messa?», «hai fatto la comunio- ne?», «hai fatto Pa- squa?», proprio le do- mande che Cristo non ri- volge mai ai discepoli. Forse il rispetto della li- turgia si accompagna a una vita scellerata, o an- che semplicemente im- memore dei suoi doveri o finalizzata al guadagno senza moralità; l’una e l’altra possono convivere senza lacerazioni pro- prio perché il primato della liturgia è neutro; esso assolve la coscien- za ed insieme non impe- gna, non mette in crisi il proprio modo di vivere. Due esempi Mi limito a citare due ca- si che ne mettono in evi- denza la contradditto- rietà. Il momento della cresima, che dovrebbe essere quello dell’acqui- sizione della consapevo- lezza matura di essere cristiano, rappresenta per lo più un «rompete le righe», il momento in cui finalmente ci si è li- berati del catechismo (per tacer del fatto che la stessa funzione religiosa viene regolata sugli orari dei ristoranti). Se questa è la reazione più diffusa è evidente che c’è qual- cosa che non funziona nel processo di forma- zione; nella maggior parte dei casi quel tem- po è stato sprecato e quel seme è andato per- duto. Non si può arrivare alla celebrazione come se questa fosse il tutto;

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