Missioni Consolata - Aprile 2015

20 MC APRILE 2015 sformarci in «scettici» a priori. Dobbiamo invece lanciare mes- saggi positivi: vivere noi per primi in pienezza e farci testimoni e co- struttori di un nuovo modo di es- sere uomini e donne. Ma questo non succederà se perseveriamo nello scetticismo: bisogna convin- cersi che le cose non solo «si pos- sono» cambiare, ma che la rivolu- zione di cui ci facciamo portatori è una «imprescindibile necessità» (Cfr. Jorge Mario Bergoglio, Mes- saggio alle comunità educative , Buenos Aires 2007). E) Uscire per cambiare mentalità Ormai abbiamo capito, dopo 50 anni di mancata applicazione del Concilio, che il problema è la mentalità da cambiare ( metà- noia ) e che non basta un cambio di struttura (anche se a un certo punto è indispensabile). Per questo occorre partire dalla missione. A mio avviso il pro- blema è quello di potere e sapere leggere la missione che lo Spirito sta già suscitando adesso, con i suoi profeti e i suoi protagonisti, le sue pratiche, le sue frontiere e periferie, i suoi incontri. Questo è un punto che dobbiamo assoluta- mente credere! E su questa base vogliamo motivare una maggiore, più decisa e meglio illuminata estroversione e animazione mis- sionaria. Il nostro problema prin- cipale è uscire, e la promessa che ne sostiene il dinamismo è che così facendo ritroveremo la gioia del Vangelo e di conseguenza po- tremo anche individuare passi di riforma della Chiesa. In poche pa- role: (re)imparare la missione da ciò che accade, da coloro ai quali siamo inviati, dal lavoro dello Spi- rito nel mondo. L’accento mio è che solo guar- dando fuori e dicendosi (lascian- dosi dire) cosa si vede e si speri- menta, si capisce cosa fare di di- D) Oltre il rancore e il risentimento Giona, il missionario tipo del con- vegno, non era affatto desideroso di andare verso Ninive. Viviamo in un tempo in cui il rischio più forte è lasciarsi prendere da quello che Zygmunt Bauman chiama il demone della paura: ci sentiamo incerti, fragili, insicuri, incapaci di controllare la realtà, pronti a trattare gli altri come ne- mici. La paura come nemica della speranza. La paura che ci spinge a fare come Giona che «si mise in cammino per fuggire a Tarsis, lon- tano dal Signore». Siamo attratti anche noi, spesso, dalle sirene di Tarsis. Incapaci non tanto di uscire ma di farlo dalla parte giu- sta, nella direzione di Ninive. All’improvviso, però, Dio scon- volse il suo ordine irrompendo nella sua vita come un torrente in piena, privandolo di ogni sicu- rezza e comodità: lo (ri)inviò a Ni- nive, «la grande città», simbolo di tutti i reietti ed emarginati, luogo di tutti i mali, per proclamare la sua Parola, per ricordare a tutti gli uomini smarriti che le braccia di Dio erano aperte e che Lui avrebbe offerto loro il suo per- dono e la sua tenerezza. La chiamata rivolta a Giona, ri- suona incessante anche per noi e ripete l’invito a vivere l’avventura di Ninive, ad assumerci il rischio di essere i protagonisti di una nuova missione, frutto dell’incon- tro con Dio. Questo incontro è sempre una novità e ci sprona a rinunciare alle abitudini, a met- terci in marcia verso le periferie e le frontiere, là dove si trova l’u- manità più ferita e dove i giovani, dietro la loro apparenza di super- ficialità e conformismo, non si stancano mai di cercare una ri- sposta alle proprie domande sul senso della vita. Aiutando i nostri fratelli a trovarlo, anche noi com- prenderemo, in modo rinnovato, il senso dell’azione e la gioia della vocazione educativa, la ragione delle nostre preghiere e il valore della nostra dedizione. La soluzione peggiore consiste nel trincerarci nel nostro piccolo mondo emettendo giudizi amari sulle condizioni in cui versa la so- cietà. Non ci è permesso di tra- ITALIA Continua a pag. 22 © AfMC/ Gigi Anataloni

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