Missioni Consolata - Novembre 2014

34 MC NOVEMBRE 2014 P er la (nostra) generazione cresciuta a pane e Alberto Sordi è costato rinunciare al mito dell’italiano «tutto sommato brava gente», sempre pronto a redimersi da una vita da brigante grazie a un atto di eroismo finale e catar- tico con cui prende finalmente e responsabilmente in mano la propria vita. Basta avere la possibilità di andare un po’ in giro per il mondo, oppure la ma- gnanimità di incontrare chi da fuori viene a vivere nel nostro paese, per capire che non siamo più buoni o meno buoni di tanta altra gente. Anche qui in Italia c’è chi incassa la testa fra le spalle e tira di- ritto senza voltarsi, lasciando che l’altrui persona badi a se stessa, risolva i suoi problemi da sola. An- che qui c’è chi pensa: « Chissenefrega , io cosa c’en- tro … non ho tempo, non mi sento, non sono ca- pace e, alla fine della fiera, non sono problemi miei!». Se così non fosse, e non fosse sempre stato, Giuseppe Allamano non avrebbe avuto bisogno di dare, all’epoca, una pillola dei cui effetti benefici si sente il bisogno anche oggi. Certamente l’ambito a cui preferibilmente l’Alla- mano si riferiva era quello formativo dei missionari della Consolata. Tante sono le volte in cui ricorreva questa espressione, segno dell’importanza che egli dava all’aspetto della partecipazione alla vita comu- nitaria ai fini della missione e alla dimensione della responsabilità personale. «Non dire mai non tocca a me» è infatti più di una raccomandazione, è un ap- pello alla responsabilità e alla vocazione cristiana, prima ancora che religiosa e missionaria. Anzi, pro- prio perché indirizzato alla compartecipazione nella vita sociale e alla creazione di migliori relazioni fra le persone, questo appello puntava a una crescita che doveva essere innanzi tutto umana. In un mondo dove si considera etico chi osserva il principio di reciprocità, la radicalità di questa pillola è un elemento che spariglia le carte, confonde, mette in crisi. Il do-ut-des è un regolatore sociale potente. «Io do perché tu mi hai dato» oppure «do perché aspetto di ricevere». Se contravvengo a que- sta consuetudine vengo punito. In questo contesto, io dirò «tocca a me» soltanto quando sarà il mio turno, aspettando che tu abbia fatto il tuo e Tizio il suo; in caso contrario mi sentirò autorizzato, e giu- stamente, a non fare assolutamente niente. Se tu vuoi che io faccia, inizia tu a fare quanto ti compete. Meglio che nulla, verrebbe da dire; meglio che l’ina- H o visto di recente, insieme ad altri missio- nari che lavorano in Europa, il film «Terra- ferma» di Emanuele Crialese, premio della giuria al Festival del cinema di Vene- zia 2011. Racconta la storia di una famiglia di pe- scatori che vive in un’isola al largo della Sicilia e che, insieme alla comunità del posto, si trova a vi- vere un conflitto fra tradizione e modernità. Gli abitanti sono infatti intrappolati nel dilemma: continuare con una vita di pesca o aprirsi al turi- smo e, di conseguenza, al consumismo di marca occidentale? Quello che si preannuncia all’inizio del film come un conflitto generazionale (c’è un’eco dei Malavoglia nella storia narrata) as- sume connotati nuovi con l’irruzione dell’emer- genza migranti che viene a sconvolgere la vita de- gli abitanti e il loro rapporto con il mare. Non tutti gli isolani sono inclini a sopportare pas- sivamente la marea umana che si abbatte sulle loro spiagge. Il turismo, la nuova dimensione ap- pena scoperta e che apre le porte a un futuro di minori sacrifici e stenti, viene messo a dura prova da questa ennesima sfida che arriva dal mare. Ep- pure, in mezzo a tutto il marasma che sconvolge la placida esistenza della gente del posto, si viene a creare uno spazio favorevole per la solidarietà e l’altruismo. Tanto il codice del mare, che non pre- vede di lasciar morire un uomo in balia delle onde, come il senso di fraternità che tocca l’a- nimo dei protagonisti investono gli abitanti dell’i- sola di un imprevedibile e nuovo senso di respon- sabilità. È inutile dire che la storia fittizia di «Terraferma» ricalca quella purtroppo vera e sofferta di Lampe- dusa. Come non ricordare del resto i gesti di acco- glienza dei lampedusani, per altro lodati anche dal Papa? Si tratta di gesti compiuti da gente sem- plice, sovente povera, messa in crisi da una situa- zione diventata ingestibile. Nonostante tutto, di fronte all’emergenza per molti di loro è impossi- bile dire: «Non tocca a me». 9. NON DIRE MAI NON TOCCA A ME Pillole « Allamano» contro il logorio della vita moderna a cura di Ugo Pozzoli

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