Missioni Consolata - Novembre 2014

- Continua a pagina 31 - «Il mio nome è...» «Il mio nome è Davi Kopenawa Ya- nomami», la conversazione inizia così, con un nome che è già una storia e un programma. Una storia. Detto che gli Yano- mami non avrebbero nomi propri (ma soltanto nomignoli, peraltro da pronunciare in situazioni confi- denziali), i nomi del nostro sono stati imposti dai bianchi. Il primo, Davi, è quello ricevuto nel 1958 dai missionari evangelici della New Tribes Mission , che avevano rag- giunto il suo villaggio nativo vicino alle sorgenti del fiume Toototobi, non lontano dal confine con il Ve- nezuela. Poi un funzionario della Funai aggiunse Xiriana, nome di una tribù diversa da quella d’ap- partenza. Soltanto anni dopo, Davi riuscì ad avere un nome scelto in prima persona: Kopenawa. Un nome che è un programma e una promessa: «kopena», in lingua ya- nomae, è un tipo di vespa. Davi spiega che nella foresta le vespe sono appese a rami e chiunque passi nelle loro vicinanze deve fare attenzione a non scomodarle o stuzzicarle, perché altrimenti di- ventano pericolose. Nel corso della sua esistenza - do- vrebbe essere nato nel 1956 - Davi è stato scomodato e stuzzicato molte volte: dai missionari evan- gelici, dagli invasori ( garimpeiros , fazendeiros , madeireiros , coloni, operai ecc.), dai politici. Davanti alle molteplici aggressioni - fisiche e culturali - alla sua gente lui ha (quasi) sempre reagito con tempe- ramento e intelligenza, co- struendo la sua immagine di lea- der indigeno carismatico e affida- bile. Le prove affrontate in questi de- cenni sono state numerose e so- prattutto sconvolgenti. A comin- ciare da quelle più personali come la morte della madre, avvenuta quando Davi era ancora un ragaz- zino. Lei morì in una delle prime epidemie ( xawara ) di morbillo, malattia portata dall’uomo bianco a cui l’organismo degli indigeni non poteva far fronte. All’inizio degli anni Settanta arriva- rono gli addetti alla costruzione della Perimetral Norte . Poi, tra il 1987 e il 1991, Roraima conobbe una corsa all’oro, che portò nelle terre indigene migliaia di garim- peiros (si parla di 40mila). Queste RORAIMA 28 MC NOVEMBRE 2014 fretta. Ci chiede di parlare per primo con Davi. «Soltanto pochi mi- nuti», ci assicura. Ci facciamo da parte, pur sapendo di rischiare, con l’arrivo del tramonto, di fare foto e riprese senza la luce naturale (come infatti avverrà). Fratel Carlo ci forni- sce immediatamente una lettura di quanto accaduto: «Oggi i bianchi lo cercano. Spesso lo adulano, o gli fanno proposte che per molti altri sarebbero allettanti. Per Davi non è facile». Occupiamo il tempo a conversare con una delle persone intente a par- lare via radio. Lucivaldo è tecnico d’infermeria e lavora al polo base di Demini, che serve anche Watoriki. «È un lavoro - spiega Lucivaldo - che richiede molta disponibilità perché il territorio è di difficile accesso. Si lavora nella comunità per 30 giorni, lontani dalla propria famiglia. Poi si torna in città per 15 giorni». La co- munità dove Lucivaldo lavora conta 190 indigeni, seguiti da un’ équipe di 4 persone, un infermiere e 3 tecnici d’infermeria. Dopo circa mezz’ora torna Davi, fi- nalmente libero di conversare con noi. Ci sistemiamo all’aperto, in un cortiletto interno della casa. # Qui sotto : alba sulla maloca ( yãno ) di Watoriki. Pagina seguente : dialogo cerimoniale a conclusione della fe- sta del reahu nella comunità di Uxixiú. © Carlo Zacquini

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