Missioni Consolata - Agosto/Settembre 2014

AGOSTO-SETTEMBRE 2014 MC 75 MC RUBRICHE cino d’utenza di duecentocinquanta- mila persone nella regione Lubombo. La sua scuola per infermieri, inoltre, forma ogni anno personale qualifi- cato che presta poi servizio nelle strutture sanitarie di tutto il paese. «Facevamo anche più viaggi al giorno, finché non ci fu donato un frigo. Da quel momento comin- ciammo a vivere con decine di fiale di sangue in casa». Il governo swazi e la comunità inter- nazionale iniziarono a reagire alla pandemia. In alcuni paesi la disponi- bilità di farmaci antiretrovirali non era costante e il rischio per i pazienti era quello di sviluppare resistenza a causa dell’irregolare aderenza alla te- rapia e di dover passare ai farmaci co- siddetti di seconda linea, più cari e ancor meno meno reperibili. «Questo in Swaziland non si è mai verificato», dice suor Diane, «fin dall’inizio la di- sponibilità di antiretrovirali è stata garantita dal Fondo Globale che ha fornito la terapia in modo costante». Oggi, il tasso di prevalenza è al venti- sei per cento, ancora il più alto del mondo, e nonostante i farmaci anti- retrovirali siano forniti dal sistema sa- nitario nazionale non sempre le per- sone decidono di curarsi: la nega- zione, la stigmatizzazione, la diffi- denza, le resistenze culturali nelle aree più disagiate – dove i casi di stu- pro sono più numerosi e la disponibi- lità fisica di una donna è data per scontata a partire dalla prima adole- scenza – non sono state completa- mente eliminate. Il futuro del paese si gioca anche in- torno a un’altra sfida, quella degli or- fani a causa dell’Hiv. «In Swaziland, sono solo ventidue su cento i bam- bini che hanno entrambi i genitori», spiega suor Diane, «tutti gli altri ne hanno perso almeno uno. E crescere bambini orfani di entrambi i genitori non è un problema che si risolve solo costruendo orfanotrofi. Essere i tu- tori di questi bambini non è sem- plice, non si tratta solamente di nu- trirli e di mandarli a scuola, ma anche di dare loro qualcosa di altrettanto importante: la sensazione di apparte- nere a qualcuno, di essere legati a qualcuno». Le suore di Madre Cabrini, accanto alle attività di diagnosi e cura dell’Hiv attraverso la clinica presso la mis- sione e le visite alle comunità, gesti- scono un programma di servizi so- ciali, un ostello per orfani che lo scorso anno ha ospitato 107 bambini e numerose attività di sensibilizza- zione e formazione. Negli ultimi dieci anni, Cabrini Ministries – questo il nome dell’organizzazione noprofit attraverso la quale le suore agiscono in Swaziland – ha assistito seimila persone affette da Hiv/Aids e circa millecinquecento orfani e bambini vulnerabili. Rifugiati, sanità, istruzione: le numerose attività della Chiesa in Swaziland Sandlane Street è l’animata strada di Manzini che va dalla cattedrale alla scuola salesiana. Percorrerla a piedi è forse il modo più rapido per ottenere una sintesi visiva degli ambiti in cui la Chiesa cattolica è attiva in Swaziland. Proprio di fronte alla cattedrale si RIFUGIATI IN SWAZILAND I l centro d’accoglienza di Ma- lindza, sorto nel 1977 a circa cinquanta chilometri da Manzini, ospita oggi circa tre- centocinquanta persone pro- venienti prevalentemente da Rwanda, Repubblica Democra- tica del Congo, Burundi, Soma- lia e Angola. «Preferiamo non usare l’espressione “campo ri- fugiati” per evitare di creare un’idea di separazione e ghet- tizzazione», spiega Reginald Magagula, il responsabile del programma rifugiati di Caritas Swaziland. L’obiettivo del cen- tro è quello di accogliere i rifu- giati e accompagnarli nel pro- cesso di integrazione nel con- testo swazi fornendo loro ge- neri di prima necessità per i primi mesi di permanenza ma avviandoli poi, attraverso la formazione professionale e l’inserimento lavorativo, verso l’autonomia. «All’arrivo, i rifu- giati ricevono sementi, attrezzi per coltivare e la possibilità di lavorare la terra vicina al cen- tro; per le persone che hanno competenze specifiche si cerca invece un raccordo con im- prese o attività locali alla ri- cerca di quel profilo professio- nale. Alcuni rifugiati, ad esem- pio, hanno lavorato come inse- gnanti di francese poiché pro- vengono da paesi francofoni; i somali, invece, manifestano una spiccata propensione al commercio». Le difficoltà sono comunque tante, anche per- ché il mercato del lavoro dello Swaziland fatica a offrire op- portunità; ma il popolo swazi non percepisce la presenza di richiedenti asilo e rifugiati come un problema o una mi- naccia. «Il popolo swazi è acco- gliente», continua Reginald, «e inoltre è stato fatto un buon lavoro di sensibilizzazione per evitare il sorgere di eventuali tensioni». Chi.Gio.

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