Missioni Consolata - Agosto/Settembre 2014

AGOSTO-SETTEMBRE 2014 MC 71 senso. Nel frattempo la multina- zionale spagnola Abengoa ha completato la costruzione di un impianto termodinamico a Uping- ton (Sudafrica). Una struttura che aiuterà il Sudafrica a raggiungere l’obiettivo energetico di 18 GWh di energia pulita entro il 2030. Il calore della terra Le centrali geotermiche sono state le prime forme di produ- zione di energia rinnovabile in Africa. Per lungo tempo, conside- rati i bassi consumi e i costi con- tenuti, gli stati hanno però prefe- rito non implementarne la costru- zione. Ma i tempi sono cambiati e si torna a guardare con interesse all’energia del sottosuolo (che si stima abbia una potenzialità di 7 mila MWh). La geotermia si basa sullo sfruttamento del calore na- turale della terra. Penetrando in profondità, la temperatura au- menta. Nelle regioni caratteriz- zate da attività vulcaniche il ca- lore è ancora più elevato e si pro- duce energia convogliando in una turbina i vapori provenienti da sorgenti di acqua calda o quelli ri- cavati pompando nel sottosuolo acqua fredda che si riscalda. In Africa le condizioni migliori per lo sfruttamento della geotermia si trovano nella Rift Valley, quella spaccatura della crosta terrestre che va dal Mar Rosso fino allo Zambia. Il Kenya è stato il primo paese a sfruttarne le potenzialità costruendo nel 1956 l’impianto Olkaria I e, successivamente, deva investimenti per 400 mi- liardi di euro nell’arco di vent’anni per creare un sistema di centrali termodinamiche in rete con alcuni parchi eolici nel Nord Africa e in Medio Oriente. L’energia prodotta avrebbe po- tuto essere utilizzata in loco, e in parte esportata verso l’Europa. Le rivolte arabe e la crescente insta- bilità politica della regione hanno in seguito fermato il progetto. L’i- dea però non è morta. In Italia Res4Med, un’associazione di cui fanno parte tra gli altri Edison, Enel, Politecnico di Milano, ha ri- lanciato il piano di creare centrali termodinamiche di piccole e me- die dimensioni sulle coste del Mediterraneo. E nel 2013 ha pre- sentato sei progetti in questo MC ARTICOLI S e i governi africani stanno guardando con grande interesse alle risorse idriche, eoliche e geotermi- che, è il settore idroelettrico quello su cui si con- centrano da anni le maggiori attenzioni. Ma anche i più grandi pericoli per le popolazioni. Le prime grandi dighe sono state costruite negli anni Cinquanta e Sessanta. Sono gli impianti di Akosombo, sul fiume Volta (Ghana), che dà origine al più vasto lago artificiale al mondo ed è stato realizzato in più fasi tra il 1940 e il 1965; di Kariba, sullo Zambesi (tra Zam- bia e Zimbabwe), costruito da un consorzio di ditte ita- liane tra il 1955 e il 1959; di Assuan sul Nilo (in Egitto), iniziato nel 1960 e terminata nel 1970; di Cahora Baixa, sullo Zambesi (Mozambico), costruito dai colonizza- tori portoghesi tra il 1969 e il 1974. Si tratta di enormi strutture che forniscono tra i 1.200 e i 2.100 MW di po- tenza, ma che hanno un grande impatto sull’ambiente e sulle popolazioni locali. Per realizzare la diga di Ka- riba vennero sfollate 57mila persone di etnia tonga. Negli anni poi si sono registrati nella regione numerosi terremoti che alcuni sismologi ritengono siano stati in- dotti dalla diga. Anche la diga di Assuan ha creato di- versi problemi: dalla diminuzione delle attività ittiche alla minore fertilità dei terreni (la diga trattiene il fer- tile limo), dalla sedimentazione delle acque a monte della diga all’erosione delle rive a valle, dall’impoveri- mento della fauna all’aumento della salinità delle ac- que del delta. N onostante questi problemi, negli anni Duemila (dopo circa un ventennio di sosta) sono ripartiti gli investimenti nel settore idroelettrico. In prima linea ci sono Repubblica democratica del Congo ed Etiopia. Kinshasa sta progettando le dighe Inga III e Grande Inga sul fiume Congo. Insieme a Inga I e Inga II dovrebbero formare un complesso in grado di pro- durre più di 40mila MW. Molti politici, ambientalisti e scienziati si sono schierati contro l’impianto perché esso, oltre ad avere un forte impatto ambientale, sa- rebbe stato concepito per esportare l’energia e non per utilizzarla in loco. Per i congolesi oltre al danno sull’ecosistema ci sarebbe la beffa di non poter in al- cun modo godere delle proprie risorse. A nche Addis Abeba sta pianificando numerose dighe per diventare esportatore di energia. Dopo aver realizzato tre sbarramenti sul fiume Omo (Gilgel Gibe I, II e III) sta progettando la costru- zione di altri due impianti sempre sul fiume Omo (Gil- gel Gibe IV e V). Anche in questo caso sono state tante le polemiche. Lo stesso governo italiano che aveva de- ciso di sostenere l’opera ha poi preferito ritirare gli stanziamenti di 250 milioni di euro. Ma il pericolo più grande potrebbe arrivare dalla Grande diga del mil- lennio sul Nilo Azzurro. Oltre alle questioni ambientali sono in gioco le relazioni internazionali con Sudan ed Egitto. Il Cairo da decenni, in virtù di un’intesa siglata nel 1929 e ribadita nel 1959, gode di un controllo asso- luto sul bacino del Nilo. A più riprese i politici egiziani hanno annunciato che non accetteranno una diminu- zione della portata del Nilo. A costo di dichiarare guerra all’Etiopia. Enrico Casale Idroelettrica: rinnovabile ad altissimo impatto ambientale Nuovi rischi sotto il cielo

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