Missioni Consolata - Maggio 2014

MAGGIO 2014 MC 47 Il commercio non è limitato alle ragazze: anche i ragazzi vanno alla ricerca di fortuna. Molti giovani (la maggior parte dei quali ha interrotto la scuola primaria) hanno cambiato le loro vite stringendo amicizia con donne di mezza età eu- ropee. Il litorale kenyano è conosciuto per at- trarre turiste divorziate o avanti con gli anni che cercano sesso, principalmente dalla Ger- mania. La maggior parte di loro sono guidate dal mito della potenza sessuale del maschio africano e arrivano promettendo ai giovani ke- niani matrimoni e viaggi nei loro paesi. Accanto alla prostituzione volontaria, c’è anche una prostituzione indotta con l’inganno e la vio- lenza. Esistono persone che tentano le ragaz- zine povere con la promessa di lavori, ma in realtà vogliono reclutarle per l’industria del sesso. Queste sono rinchiuse in case-bordello e costrette ad avere rapporti con clienti sotto la supervisione dei loro «datori di lavoro». Mentre il governo di Nairobi a parole disap- prova il turismo sessuale e vieta quello infan- tile, le azioni di contrasto sono poche. Troppi sono i soldi in gioco. redazione MC * Liberamente tratto dall’articolo «Turismo sessuale in Kenya», pubblicato da www.promisland.it il 4 ottobre 2006, e da «Fight against child sex tourism needs a boost», pubblicato da Irin news, 28 aprile 2011 e da www.ecpat.net. I l Comitato degli italiani all’estero (Comites), or- ganismo che assiste gli italiani nel mondo, ri- ceve molte proteste da parte di concittadini re- sidenti sulla costa del Kenya che lamentano una disparità di trattamento tra loro e gli autoctoni per quanto attiene alle infrazioni, soprattutto a quelle concernenti la circolazione su strada. «Gli africani viaggiano senza casco in motoci- cletta, senza cinture di sicurezza in auto, sorpas- sano in curva e sui dossi, parcheggiano dove pare a loro, caricano i loro mezzi all’inverosimile… Tutto sotto lo sguardo indifferente della polizia, ma se noi commettiamo anche la più piccola di queste infrazioni, ecco che scattano l’arresto, le manette e le estenuanti comparizioni in corte. Questa non si chiama discriminazione?». S ì. Dovremmo chiamarla proprio così e non si tratta di una gran rivelazione perché l’eserci- zio di queste differenze è quotidianamente sotto gli occhi di tutti. Basta guardare i piki-piki (motorette-taxi): nes- suno indossa il casco. Né i guidatori né i passeg- geri che spesso sono due, se non tre, spremuti come acciughe alle spalle del guidatore che e co- stretto a condurre il mezzo con il manubrio pre- muto sull’ugola. Non è del tutto vero, però, che la polizia se ne disinteressi totalmente. Qualche volta ferma anche loro e applica una modesta tassa-informale (il kitu-kidogo ) oggettivamente rapportata alle loro tasche. È ovvio che, quando l’infrazione è commessa da un «viso pallido», l’in- teresse dei solerti controllori del traffico diviene molto più rigoroso, ma non direi che si tratta di vera e propria discriminazione basata sul colore della pelle, piuttosto di un giudizio pratico commi- surato al portafoglio del trasgressore. C ome possiamo difenderci? Dobbiamo pre- tendere che tutti i trasgressori, bianchi e neri, incontrino gli stessi rigori della legge. Sarebbe giusto, ma anche estremamente faticoso e alla fine la nostra pretesa si rivelerebbe più spesso infruttuosa. Perché, allora, non fare la cosa più semplice e indolore: rispettare le regole e non metterci dalla parte del torto? Del resto, in nessuna parte del mondo, chi la fa franca infrangendo la legge, autorizza gli altri a fare impunemente altrettanto. Artemide (un italiano in Kenya dagli anni Sessanta) Per un sorriso: discriminazioni stradali Occhio al poliziotto DOSSIER MC MALINDI

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