Missioni Consolata - Luglio 2013

40 MC LUGLIO 2013 OSSIER mangia perché non ha da mangiare sta vivendo la re- cessione. In questo senso decrescita non si confonde con recessione ma ne è addirittura la medicina». Ad- dirittura? «Sì, perché puntare sulla riduzione degli sprechi significa dirottare gli investimenti in speci- fici settori produttivi, quello delle eco-tecnologie, del- l’efficienza, quindi ottenere magari le stesse cose im- piegando meno risorse. Con questo risparmio si può innescare un circuito virtuoso che permetterebbe a sua volta di pagare i salari dei nuovi lavoratori del settore». Decrescita fa rima con innovazione o tradizione? «Anche qui bisogna mettersi d’accordo. L’innova- zione non è un valore in sé, ma è utile quando mirata alla diminuzione degli sprechi di risorse e di tempo. Diversamente, se punta a indurre un semplice desi- derio consumistico di emulazione, è inutile e dan- nosa. Lo vediamo ad esempio con i modelli di smart- phone o automobili che escono continuamente sul mercato a parità sostanziale di funzionalità tra un modello e l’altro. Per il loro acquisto le persone conti- nuano a indebitarsi o a lavorare molte ore senza rea- lizzare che si tratta di merci che non aumentano di certo il loro benessere. La tradizione è buona perché spesso raccoglie la saggezza di secoli di adattamento alla natura e all’ambiente circostante. Ad esempio nel campo del risparmio energetico, le cascine co- struite nell’Ottocento erano ottimali, in quanto si te- neva in gran conto l’orientamento e l’esposizione al sole dell’abitazione, riducendo le aperture di porte e finestre sui muri perimetrali del lato nord che invece con il loro spessore funzionavano da regolatori ter- mici. L’edilizia della seconda metà del secolo scorso invece, pur essendo considerata innovativa rispetto agli edifici precedenti, teneva poco o per nulla conto di questi aspetti, considerando un fattore secondario la dispersione di calore, presupponendo un facile e poco dispendioso accesso ai combustibili fossili e al- l’energia elettrica». VADO A VIVERE IN CAMPAGNA La decrescita si può vivere esclusivamente in un am- biente rurale? «Considero le città gli ambienti peg- giori dal punto di vista della qualità della vita. In un appartamento è materialmente impossibile fare delle attività attinenti alla soddisfazione dei propri biso- gni. Tutto si compra col denaro guadagnato spesso facendo dei lavori legati alla produzione di merci e servizi inutili, come certa “burocrazia”. La campa- gna, se vissuta come opportunità di fare autoprodu- zione o allevamento, va nella direzione della decre- scita. Ma in generale la decrescita attecchisce in una persona consapevole e sensibile all’idea. Se il decen- tramento aumenta fortemente le necessità di sposta- menti quotidiani in automobile per raggiungere diffe- renti luoghi di lavoro potrebbe non essere la solu- zione ottimale. Anche la scelta di vita individuale o comunitaria deve essere lasciata alle attitudini e al- l’indole di ognuno di noi, è chiaro che l’isolamento può non favorire lo scambio di beni e servizi o la reci- procità che è alla base della teoria della decrescita». Chi abita in città cosa può fare da domani per ade- rire in pratica all’idea di decrescita? «Si possono fare molte cose tra cui: instaurare un rapporto diretto di collaborazione con i produttori alimentari (i Gas, ndr ), aderire alle banche del tempo, brutto nome per un’ottima idea, che è quella di scambiare il tempo per aiutarsi. Vedo bene in que- sto senso creare una rete di aiuti e di solidarietà al- l’interno dei condomini in cui si vive. Poi c’è il filone energetico: fare scelte che comportino risparmi e uti- lizzi di energie rinnovabili, pianificare più sposta- menti a piedi o in bicicletta. Ognuno deve trovare la propria misura e il proprio equilibrio. Ridurre al mi- nimo la propria dipendenza dal mercato, dalle atti- vità inutili e dagli sprechi». FARE I CONTI CON LA CRISI Se si perde il lavoro, cosa si fa? Si mangia pane e de- crescita? «È fondamentale reagire, conoscersi meglio per ri- scoprire le proprie capacità pratico-manuali e i pro- pri talenti. Oggi ci rendiamo tristemente conto che non sappiamo “fare”, ma dobbiamo acquistare tutti i beni che ci occorrono. Il modello di giornata che ho in mente dovrebbe svilupparsi in tre momenti: l’auto produzione di beni, includendo le riparazioni artigia- nali e l’orticoltura; il lavoro “esterno”, necessario per ottenere denaro e acquistare quello che non si può costruire direttamente. Infine, una parte importante della giornata dedicata alle relazioni umane, alla spi- ritualità, al divertimento e all’apprendimento. Molto si può fare individualmente, vivere il proprio cambia- mento e operare contestualmente scelte di consumo consapevoli, riducendo gli sprechi e gli acquisti inu- tili. Ma poi ci vuole una risposta politica e di orienta- mento dei settori industriali che mirino all’efficienza, alle energie pulite e alla produzione sostenibile dei beni strumentali». La fase di crescita è proprio “esaurita”? «Io credo che tutti gli sforzi attuali di aumentare l’oc- cupazione senza porsi la questione dell’utilità di quello che si fa sono destinati al fallimento. Dob- biamo invertire la tendenza ed entrare in una fase nuova dell’economia; questa azione non potrà che ri- percuotersi beneficamente in un avanzamento so- ciale dell’intera umanità». Nelle pagine successive : foto della borgata Liretta, in provincia di Cuneo.

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