Missioni Consolata - Luglio 2013

chi è quell’incosciente che porta la sua famiglia in guerra?». Non è così. Eravamo una famiglia, lui non sarebbe partito senza di noi, e noi non gli avremmo impedito di accettare quell’incarico. Una volta in Italia si tornò alla normalità. Io a scuola a Castel- planio, mio babbo a Macerata, mio fratello all’asilo, mia mamma al lavoro. Tutto normale, forse troppo. Grazie a mio padre avevo scoperto nuovi orizzonti, quegli orizzonti che tanto aveva inse- guito e raggiunto insieme a noi. Quella vita mi stava stretta. Figu- ratevi a lui! Dopo l’anno in Cambogia aveva capito che poteva contare su di me per queste cose, un po’ meno su mia mamma. E come darle torto, portare due figli in Cambo- gia non era stato di certo come fare una passeggiata sul monte. In quegli anni mio padre fu eletto presidente della sezione italiana di Medici senza frontiere . E nel 1999 l’organizzazione vinse il premio Nobel per la pace. Lui andò insieme a tutti i presidenti di Medici senza frontiere alla ce- rimonia di consegna, ad Oslo. Purtroppo non se ne parlò molto in Italia di quel giorno speciale per Msf. MC ARTICOLI # In senso orario : Carlo Urbani in India; a passeggio per Nuova Delhi; al lavoro al microscopio; la pagina d’esordio di Come sta Fatou? , la rubrica che teneva su MC; la moglie Giuliana con i tre figli (Tommaso, Luca e Mad- dalena) alla periferia di Hanoi. Carlo Urbani e Missioni Consolata COME STA FATOU? C onobbi Carlo nell’ormai lontanissimo 1988. Ci incontrammo in un viaggio al- ternativo in India e Nepal che lui stesso guidava. Fu immediato capire che persona fosse: ironica, estroversa, curiosa. Appassionato di fotografia, ma anche di cibo. E poi c’era il Carlo-medico, gentile e competente. Fu un viaggio unico, anche per gli inconvenienti occorsi. Ci rivedemmo an- cora sia a casa mia, in Trentino, che a Ca- stelplanio. Nell’autunno del 1998 gli chiesi se volesse curare una rubrica di medicina per Missioni Consolata . Rispose subito di sì e propose anche il titolo: «Come sta Fa- tou? In viaggio tra malattie e sottosviluppo». Curò la rubrica fino alla partenza per Hanoi, dove nel marzo del 2003 si ammalò. Seppi della sua morte poche ore dopo il fatto. Cinzia, una comune amica di Castelplanio, mi telefonò per avvertirmi. Pensai su- bito che scherzasse, ma purtroppo mi sbagliavo. Nell’introdurre la sua rubrica - era il gennaio 1999 - Carlo aveva scritto: «In questa rubrica (...) ci racconteremo qualcosa che riguarda la salute, o meglio l’assenza di salute, in questo mondo dei più sfortu- nati, dove povertà e malattia si generano a vicenda». Carlo non è morto a causa di una delle malattie descritte nei suoi scritti, ma per la Sars, una patologia fino ad allora sconosciuta il cui virus egli stesso aveva individuato. P rima di chiedere a Tommaso di scrivere un ricordo di suo padre, ci ho pensato molto. Mi sembrava di essere invadente, irrispettoso, come sanno essere molti giornalisti. Poi ho capito che, dal giorno della sua scomparsa, Carlo Urbani non è più soltanto un individuo ma un’i- cona pubblica, un simbolo positivo. Di più: in questa Italia disastrata e senza speranza Carlo Urbani rappresenta un esempio luminoso, un ita- liano di cui parlare ed essere orgogliosi. PaoloMoiola Carlo Urbani è stato un nostro amico e collaboratore. Fu lui stesso a stabilire il titolo della sua rubrica: «Come sta Fatou? In viaggio tra malattie e sottosviluppo». Il primo articolo uscì nel gennaio del 1999. LUGLIO 2013 MC 29

RkJQdWJsaXNoZXIy NTc1MjU=