Missioni Consolata - Luglio 2013

plicità, la semplicità con la quale un padre racconta una fiaba al fi- glio. Una volta prima di una sua partenza ero arrabbiato, non vo- levo lasciarlo andare. Lui mi pre- parò una caccia al tesoro, la- sciando indizi sparsi in tutta la casa, che dovevo completare con mia mamma una volta partito. Io non stavo più nella pelle, aspet- tavo quindi con ansia la sua par- tenza. Una volta trovato il premio però la nostalgia ricominciava, e con mia madre mettevamo le crocette sul calendario ogni giorno, aspet- tando il suo ritorno. Inutile dire la nostra gioia al suo rientro: ci rac- contava dettagliatamente il suo viaggio, con foto, aneddoti, e re- galini. Ricordo con gioia un ultimo giorno di scuola. Ognuno doveva portare un dolce fatto in casa, una crostata, un ciambellone. Io chiesi a mia mamma di farne uno, ma si offrì mio padre. Il po- meriggio del giorno prima, an- cora nulla… Iniziavo a preoccu- parmi. Lui era in ospedale a Ma- cerata. La mattina, scendendo in cucina, trovai una casa fatta di bi- scotti e marzapane, completa- mente decorata. Sembrava vera. Lui mi guardò e chiese: «Ti corso degli anni, che lo ha portato a realizzarsi nel lavoro, come nella vita. LE CROCETTE SUL CALENDARIO Lavoro e vita: si tende a pensare che queste due cose non possano convivere. Se si lavora troppo si rischia di trascurare la propria vita, la propria famiglia, e vice- versa. Per lui non era così. Mio padre ha sempre avuto la grande capacità di portare avanti en- trambe le cose. E non superficial- mente. Ogni minima cosa era fatta con passione. Ecco, questo è il termine giusto: passione. Era appassionato del suo lavoro, della sua esistenza. Nei primi anni della mia vita, al- meno da quando ricordo, lavo- rava a Macerata, collaborava con l’Oms e ogni tanto partiva in mis- sione. In quegli anni ancora non c’era stata l’esplosione di Inter- net, i voli last-minute non erano un’abitudine, e le comunicazioni erano limitate… si scrivevano le lettere a mano! Insomma durante quelle missioni c’era una corri- spondenza epistolare in cui mi raccontava (allora ero ancora fi- glio unico) il suo lavoro, la sua esperienza, e lo faceva con sem- piace?». Questo era mio padre. In un modo o in un altro riusciva sempre a non far pesare la sua mancanza, e devo riconoscere che ci riusciva davvero bene! Ricordo con piacere gli anni in cui lavorava a Macerata, spesso quando si fermava a fare la notte lo raggiungevamo. Avevamo un piccolo appartamento dove stare. Erano bei momenti, ero felice perché eravamo tutti insieme. Semplici momenti di quotidianità che, come d’incanto, diventavano magici. DA MACERATA A PHNOM PENH Quando - era il 1996 - arrivò la chiamata di Msf per una missione in Cambogia, mio fratello Luca aveva appena un anno. Mio padre ci propose questa «av- ventura». Come risponderebbe un ragazzino di 9 anni se il padre gli chiedesse: «Volete venire con me in Cambogia per un anno?». Non saprei. Ma so come risposi io. E come risponderebbe una madre con un figlio appena nato? Probabilmente e comprensibil- mente con un «no». Io ero entusiasta, mia madre di meno. Ma ci fidavamo di lui. Quello che faceva mi coinvolgeva in qualche modo, anche se non lo LUGLIO 2013 MC 27 # Sopra : Carlo Urbani e alcuni colleghi nel deserto della Mauritania, anno 1992. # A sinistra : Carlo controlla un neonato all’Ospedale pediatrico di Hanoi. MC ARTICOLI

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