Missioni Consolata - Dicembre 2012

DICEMBRE 2012 MC 79 MC ARTICOLI gemme e in un batter d’occhio sbocciarono meravi- gliose rose bianche: ne raccolsi un fascio, tornai da Francesco e gli dissi: «Le rose sono fiorite». Chissà la faccia di Francesco! Eh, devo proprio dire che lui capì la volontà di Dio e la- sciò parlare la gente; così potei continure ad ascol- tarlo, incantata dalle sue riflessioni. Inoltre, portai con me anche le mie sorelle ad ascoltare quel giovane che parlava di Dio in un modo fresco e immediato. Parlaci della tua amicizia con la figlia del re di Boemia: Agnese di Praga, anche lei santa. Grazie ai frati minori, che in poco tempo si erano dif- fusi in tutta Europa, Agnese, figlia del re di Boemia, venne a conoscenza del fatto che ad Assisi, oltre al- l’ordine dei francescani che seguivano la Regola data da Francesco, esisteva anche una comunità di giovani donne dedite alla preghiera e che vivevano in assoluta povertà. Interessata a ciò che avevamo avviato, mi scrisse perché anche lei pensava di fare qualcosa di simile in quella regione d’Europa. Ma le poste a quei tempi, non funzionavano come quelle di adesso... È vero, difatti le lettere che io le scrissi sono poche, ma tanto bastò per avviare tra noi, pur non incontran- doci mai, una sincera amicizia e una comunanza di ideali che rafforzò la nostra testimonianza alla Chiesa. In fondo, sia io che Agnese venivamo da fami- glie altolocate e nobili, avevamo tutto; però il vivere in povertà ci metteva nella condizione di avere la ric- chezza più grande: l’incontro con il Signore che avve- niva nell’essenzialità della vita e nella profonda espe- rienza di preghiera che le nostre comunità sprigiona- vano. Oggi la situazione è molto cambiata, non ci sono più pochi nobili con immense ricchezze a disposizione e masse di poveri che non hanno da sfamarsi; oggi il pericolo maggiore per i giovani è proprio il correre dietro al possesso delle cose, vestire griffati e avere la propria stanza colma di cose inutili. Il fatto che nel ventunesimo secolo gran parte della gioventù possa accedere a beni voluttuari e superflui, penso proprio che faccia loro perdere il senso dell’es- senzialità; di conseguenza, grazie soprattutto agli astuti mezzi pubblicitari, un giovane (ma anche gli adulti!) pensa di potersi realizzare solo se ha determi- nate cose. Che consigli daresti ai giovani che partecipe- ranno alla Giornata Mondiale della Gioventù, che si terrà a Rio de Janeiro l’anno prossimo? Il Signore nella sua infinita tenerezza ha un disegno per ciascuno di loro: scoprire il disegno di Dio, fare la sua volontà, vivere non legati alle ricchezze del mondo, non correre dietro al consumismo pervasivo, tutto ciò rende ogni giovane libero per essere vera- mente sé stesso e incontrare il Signore nel proprio cuore. A tutti i ragazzi che converranno nella città ca- rioca del Brasile auguro veramente che riescano a scoprire queste cose dentro di loro, come Francesco, Agnese ed io li abbiamo scoperti e, senza guardare in faccia a nessuno, li abbiamo realizzati nella nostra vita. Auguri ragazzi! Mario Bandera Direttore CMD di Novara Questo accrebbe la tua fama al di là della vita di povertà e di santità che già ti circondava... Non so se tale fatto abbia aumentato la mia conside- razione nella gente del contado e della regione um- bra, di sicuro una donna che apriva il tabernacolo e prendeva l’ostensorio in mano a quei tempi era una vera rivoluzione. Se non vado errato, anche la Regola del tuo ordine è la prima nella Chiesa scritta da una donna per una comunità tutta femminile. Francesco all’inizio scrisse una Regola tutta per noi, ma con il tempo io la modificai radicalmente perché ero attratta da «Madonna povertà» e così volevo vivere insieme alle mie compagne. Tengo a sottolineare che tra le prime che integrarono la nascente comunità, c’erano mia madre Ortolana e due mie sorelle, Bea- trice e Agnese, insieme ad altre donne e ragazze: nello spazio di pochi anni eravamo già una cinquan- tina. All’inizio per il luogo che occupavamo, san Da- miano, fummo chiamate le «Damianite» e da France- sco e i suoi compagni le «Povere dame». Ma con il tempo, influenzate dal mio nome, siamo state chia- mate le «Clarisse». La tua amicizia con Francesco generò qualche sospetto e maldicenza di troppo, o sbaglio? La familiarità spirituale che avevo con Francesco era vista con occhio malevolo dalla gente. A dire il vero, turbato da queste voci, Francesco mi disse che dove- vamo restare lontani per un po’ di tempo, perché la gente mormorava su di noi. Avremmo potuto rivederci quando sarebbero rifiorite le rose; me lo disse, ri- cordo bene, quando era pieno inverno, c’era neve dap- pertutto. Mi allontanai quanto un tiro di sasso, mi in- ginocchiai a pregare e come per incanto si aprirono le

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