Missioni Consolata - Dicembre 2012

38 MC DICEMBRE 2012 Natale è la festa del poco, di ciò che è piccolo, un evento rappresentato, come in un gioco di parole, dalla stalla e dalla stella di Bet- lemme: un luogo di miseria in cui trova posto Dio che nasce. E se oggi il poco sembra pervadere la nostra vita come mai prima, ecco che il Natale è anche la festa nostra, che può toccarci nell’in- timo, nel profondo, e se davvero lo fa ci può cambiare per sempre. I racconti della nati- vità sono estrema- mente duri e mo- strano uno scenario di oppressione in cui si muovono i personaggi della storia più famosa e più amata; una storia dentro ai cui contorni sono rac- chiuse le esperienze di tutti, di sempre. Non per nulla, nel concepire a Greccio il primo presepe, San France- sco intendeva rappresentare l’istante iniziale della vita di Cristo per sentirne sensibilmente, sulla pro- pria pelle, l’esperienza del nascere, e del farlo in quel contesto di povertà assoluta. La Vita prima del Santo di Tommaso da Celano (cap. XXX), mette nella bocca di Francesco: «Vorrei rappresentare il Bambino nato a Betlemme, e in qualche modo vedere con gli occhi del corpo i disagi in cui si è trovato per la mancanza delle cose necessarie a un neonato, come fu adagiato in una greppia e come giaceva sul fieno tra il bue e l’a- sinello». AFFLIGGERE I CONSOLATI La Chiesa, oggi, ha un’opportunità d’oro: quella di ap- profittare del Natale per 1) rileggere la crisi che stiamo vivendo in un’ottica di fede e di provvidenza; 2) dare spessore e consistenza alla vocazione evange- lizzatrice che oggi le viene chiesto a gran voce di con- fermare. Il bambino di Betlemme diventa un richiamo ai nostri stili di vita, un segno ed esempio di conversione pro- fonda da tutto ciò che ci rende lenti, fisicamente e mentalmente obesi, rigorosamente chiusi su noi stessi, sui nostri bisogni e sulla loro soddisfazione. Guai se la crisi attuale acuisse ulteriormente una ten- denza da cui purtroppo ci dobbiamo sempre difen- dere, una tendenza all’egoismo capace, a breve ter- mine, di logorare i rapporti personali e sociali in nome del vantaggio personale. Le scienze moderne definiscono il momento critico come il punto in cui un organismo (anche sociale) malato si dirige verso la sua guarigione o si avvia gradualmente verso la morte. La fede accetta questa interpretazione di crisi fino al mo- mento in cui que- st’ultima si scontra con il paradosso che fonda il cristia- nesimo stesso: la «guarigione», cioè, passa attraverso un percorso di morte e rinascita che segna tutta la vita battesi- male del credente. I racconti del Natale privati dell’ispira- zione pasquale at- traverso cui sono stati scritti divente- rebbero favole per bambini, impor- tanti in un tempo della nostra vita, ma da abbandonare poi come inutili. La crisi marca quindi un punto di non ritorno, un «o la va o la spacca» che rappresenta contemporaneamente un invito alla conversione e un appello alla missione. Il cambio interiore che il Natale ci propone non vuole cancellare l’impegno a eliminare quelle strutture ingiuste, che fanno sì che a pagare oggi gli effetti della crisi siano i più poveri; anzi, l’im- pegno a spendersi nella vita politico-sociale in cui ci troviamo diventa la conseguenza di un’opzione radi- cale in cui ci si affida nuovamente a Dio e alla sua azione nella storia. Dio nasce povero per liberare i po- veri. Nasce migrante, per viaggiare sugli impervi cammini della migrazione di oggi, sentieri che so- vente incrociano le rotte di chi sfrutta, schiavizza. Anche nel suo «farsi» uomo, Cristo è icona del Padre, amore misericordioso per l’umanità da redimere. L’incarnazione è quindi annuncio, testimonianza. Se fossimo capaci anche noi di tradurre il bene che vorremmo, la pace che sogniamo, l’amore che ago- gniamo, in altrettante azioni concrete, faremmo del Natale una cosa diversa, piena di senso nonostante la crisi… nonostante tutto. Non il momento in cui dob- biamo essere buoni, ma la celebrazione della nostra opzione di vivere la vita in modo buono. Usando una frase di don Tonino Bello, il 25 dicembre non deve es- sere il giorno in cui, magari per rigurgito di buoni- smo, si decide di allargare il proprio cuore per conso- lare un afflitto, ma deve essere piuttosto il momento in cui la Parola di Dio, facendosi carne, «affligge i con- solati» (e noi tra loro) dando alla loro vita rinnovato slancio per una missione di annuncio e testimonianza. Un Natale così avrebbe potuto dare ben altro titolo alla canzone di Bertoli: non È nato, si dice , ma piutto- sto È nato… e si vede! . Ugo Pozzoli OSSIER © graphicleftovers com

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