Missioni Consolata - Dicembre 2012

dato la prima informazione: «Nel terzo giorno uno spo- salizio avvenne in Cana di Galilea». Se la stessa frase è all’inizio e poi anche alla fine, concludiamo che l’intero racconto è uniforme; esso, infatti, è contenuto - si dice tecnicamente - in una «inclusione», cioè tra due espressioni uguali che formano una specie di cerchio che racchiude tutto l’insieme. Siamo partiti da Cana di Galilea e siamo arrivati a Cana di Galilea e andando avanti nella lettura del vangelo, la incontriamo ancora in Gv 4,46, all’inizio del racconto della guarigione a di- stanza del figlio del funzionario regio. È lo stesso au- tore che connette i due racconti di Cana per cui è evi- dente che c’è un legame profondo che bisogna rilevare: «Venne quindi di nuovo a Cana di Galilea, dove aveva cambiato l’acqua (in) vino. E c’era un funzionario regio il cui figlio era malato in Cafàrnao». La stessa espres- sione ritroviamo alla conclusione del vangelo (Gv 21,2): «Erano insieme Simon Pietro e Tommaso, detto “ge- mello”, e Natanaele, che era di Cana di Galilea e i figli di Zebedeo e altri due dei suoi discepoli». La vita pub- blica di Gesù si apre a Cana, passa per Cana e termina a Gerusalemme, ma con la citazione di Cana di Galilea: un modo letterario per dirci due cose. La prima riguarda il «segno» di Cana che così riguarda tutto il vangelo: in altre parole, non si può capire il van- gelo in tutta l’integrità se non si capisce «il principio dei segni» avvenuto a Cana. Il secondo riguarda noi, lettori: la geografia è parte integrante della salvezza e della fede. I luoghi, infatti, e i posti dove avviene ciò che ci ri- guarda non sono indifferenti ed è nostro obbligo ritor- nare, come in pellegrinaggio, ai luoghi dove abbiamo vissuto e «visto» e «manifestato» a noi e ad altri ciò che abbiamo capito, intuito, desiderato, promesso. UN PELLEGRINAGGIO GIOIOSO Spesso noi andiamo in pellegrinaggio ai santuari, a volte con l’illusione di incontrare Dio, senza renderci conto che vi sono anche altri «luoghi» importanti e altri «santuari» necessari per noi: dove abbiamo incontrato l’amore, dove abbiamo dato il primo bacio, dove abbiamo concepito il figlio/a, dove abbiamo sognato un ideale, dove abbiamo percepito la chiamata, dove abbiamo fatto la promessa di fede o matrimonio, dove abbiamo pianto, dove avremmo voluto morire, dove abbiamo riso spensieratamente, dove abbiamo incontrato un amico/amica, dove abbiamo preso qualcuno per mano, dove abbiamo asciugato lacrime di dolore, dove abbiamo condiviso lacrime di gioia, dove ci siamo abbandonati alla paternità di Dio, dove abbiamo ricevuto un regalo inatteso, dove abbiamo spezzato il pane dell’amicizia, dove abbiamo ritrovato quanto avevamo smarrito, dove abbiamo mutato la disperazione in pacificazione, dove abbiamo vissuto la Shekinàh come Abramo, dove abbiamo assaggiato il vino nuovo di un nuovo pro- getto di vita con Dio, dove abbiamo deciso di dare la nostra vita a perdere senza chiedere in cambio nulla. Sorge spontanea una domanda: «Qual è la mia Cana di Galilea dove ho visto e vissuto le nozze dell’alleanza?». Ritornare «al princi- pio» significa ritornare ad assaporare «il vino messia- nico», quello che porta con sé il sapore dell’eternità e resta per sempre. Da principio alla fine. (37 – continua) NON MIRACOLO, MA SEGNALE PER NON SMARRIRSI Nello studio della Bibbia nel suo insieme o di un brano o di un versetto non si può andare subito al significato «spirituale» per coglierne subito il frutto. La Parola di Dio rifugge dalla fretta, pressappochismo, superficia- lità e spiritualismo. Essa esige spazio, tempo, studio prolungato, sapore, gusto... in una parola, la Bibbia esige «perdere tempo» come l’amore. Come i nostri lettori avranno percepito, se hanno avuto la pazienza di arrivare a questo punto, la riflessione sul versetto undici non è conclusiva, ma è tutta centrata sulle questioni letterarie e in parte anche sintattiche. Qualcuno potrebbe dire che sono superflue; se così fosse, passi pure avanti, anzi ad altro, perché la Bibbia non fa per lui: legga fumetti o faccia enigmistica. Noi ri- teniamo che la Bibbia debba essere assaporata nella sua struttura letteraria, grammaticale e sintattica: più l’approccio è scientifico e più si riesce a penetrare, at- traverso il significato ordinario delle parole comuni, il senso nascosto che lo Spirito può svelare a coloro che lo cercano per le vie indicate dall’autore e quindi dallo stesso Spirito, e più nutre l’anima. Quando «si legge» la Bibbia o si riflette su un brano della Scrittura, alla fine bisogna essere «stanchi» per- ché ascoltare, studiare e vivere la Parola è lavorare nel e per il Regno di Dio. Altre volte abbiamo già detto che per i rabbini ebrei, lo studio della Parola di Dio equiva- leva al sacrificio compiuto nel tempio di Gerusalemme. Sarebbe lo stesso per noi dire che equivale alla cele- brazione comunitaria dell’Eucaristia. Ecco perché è ne- cessario «stare sul» versetto 11, perché da esso di- pende la comprensione di tutta la narrazione. Vogliamo evidenziare la grandezza e la lungimiranza del redat- tore finale che, scegliendo le frasi e mettendole in un certo ordine, ha pensato a noi che le avremmo lette oggi, domani, sempre. Prendiamo in esame la frase in se stessa, fuori del suo contesto, per approfondirne il senso cristologico. L’autore ha posto in greco il pro- nome dimostrativo «questo» all’inizio di frase, cioè in posizione enfatica, di rilievo, addirittura prima del verbo che così è relegato in seconda linea. Il pronome dimostrativo « taut ē n - questa/questo» concorda per at- trazione con «principio» che in greco è femminile e in italiano è maschile. In questo modo, l’autore ingloba tutto ciò che precede e comprende l’intero racconto. Tutto quello che è avvenuto a Cana di Galilea è «un principio», cioè il fondamento, la prospettiva, la chiave di lettura di tutto ciò che segue. Non è casuale che l’autore nel IV vangelo non usi mai il termine «miracolo», ma sempre e solo il lemma «se- gno». Non si tratta, infatti, di descrivere interventi su- periori, ma di indicare la direzione della fede verso cui incamminarsi: bisogna stare attenti ai «segni» e i «mi- racoli» sono «segnali» per non smarrirsi. ANCHE LA GEOGRAFIA SEGNA LA VIA DI DIO Quanto abbiamo appena detto, lo constatiamo anche dalla citazione geografica «in Cana di Galilea». L’e- spressione nella morfologia greca si analizza come due complementi: a) di stato in luogo ( in Cana ) e b) genitivo corografico ( di Galilea ). Questo genitivo, in greco, vuole sempre l’articolo « della Galilea», che in italiano però non si mette e quindi non diciamo, alla lettera, «in Cana della Galilea», ma correttamente traduciamo con «Cana di Galilea». L’espressione «Cana di Galilea» l’abbiamo già incon- trata nel primo versetto, Gv 2,1, quando l’autore ci ha 34 MC DICEMBRE 2012 Così sta scritto

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