Missioni Consolata - Agosto/Settembre 2012

stanno entusiasmando, esserci di nascosto, quando le due pesti, dalla finestra del balcone che mette in comunicazione le loro camerette, le chiedono di ri- solvere gli esercizi di matematica più difficili. Oggi Elisa è sposata con una bimba di tre anni e una creatura in pancia, ma se Giulia e Alice sono in difficoltà, lei prende l’auto e arriva. Ed è ricam- biata da loro che, pur diversissime, non si negano se lei ha bisogno. Mi riempie il cuore vedere come si creano legami di fratellanza ben al di là del Dna: sono fili emozio- nali che non si spezzano e permettono di ricono- scersi come appartenenti allo stesso cammino, un cammino che nasce nel dolore e si evolve, grazie al sostegno di chi c’è intorno, verso la vita. I DIFFICILI RAPPORTI CON I SERVIZI SOCIALI Giulia e Alice crescono coinvolgendoci così tanto che non abbiamo più tempo di pensare, compren- dere, tenere le distanze. Come accade con i propri figli, in quegli anni che si trascorrono a correre per portarli e seguirli ovunque, non c’è tregua. La scuola, lo sport, il catechismo, la festa di com- pleanno, gli inviti dagli amici, le note sul diario, tante, troppe, le verifiche che hanno sempre un voto basso e un commento: «Potrebbe fare molto di più!», le botte a questo e quello che «mi ha guar- dato male, mi ha insultata». Scopriamo in quegli anni il vero significato dell’af- fidamento: un bambino che non può vivere con i suoi genitori, perché non ci sono le condizioni ne- cessarie per l’accudimento, viene «preso in carico» dalla società che sceglie di fare le veci della fami- glia che non c’è. In realtà, dopo mille parole, collo- qui, verifiche psicologiche, sanitarie, familiari della coppia affidataria o adottiva che viene messa a nudo e rivoltata come un calzino per vedere se ido- nea, dopo tutto questo dire, la società sparisce e il bimbo resta nella famiglia nuova che si deve arran- giare. Le assistenti sociali «di riferimento» sono in realtà un susseguirsi continuo di figure diverse, sia per- ché le famiglie naturali si spostano da un paese al- l’altro e cambiano i riferimenti, sia perché queste si ammalano, si trasferiscono, sono spostate a oc- cuparsi d’altro. Tolte rarissime eccezioni, siamo noi che facciamo le relazioni sulla situazione e le inviamo sia al ser- vizio sociale sia al Tribunale. Ma c’è un caso in cui il servizio è molto presente: quando la famiglia di origine va in pallone e aumenta la sue richieste o le pressioni psicologiche sui figli. Allora aumentano le visite, tutte le settimane si prevedono colloqui… poi tutto sfuma in una bolla di sapone e mentre noi lavoriamo con le bambine per recuperare alcune condizioni di base per crescere verso l’autonomia, nessuno fa altrettanto con la famiglia naturale. Ca- pisco che sia difficile, però… se alla famiglia, con- temporaneamente all’affido dei figli, fosse proposto un cammino serio e costante, qualche cosa miglio- rerebbe: di certo i bambini sarebbero più sereni e i costi sociali, a lungo andare, diminuirebbero. Negli anni delle medie viviamo in balia delle onde: tutto dipende dagli umori della famiglia di origine che convince le bambine che l’affidamento sta ter- minando. Qualunque nostra indicazione educativa viene messa a tacere con: «Non importa se non siete d’accordo, intanto torniamo dalla mamma tra pochi giorni». Ogni rientro a casa è un colpo di scena e l’assi- stente sociale non è in grado di tenerne la regia: quando le chiediamo di intervenire, lei non sa cosa fare e si lascia trasportare dagli eventi. Sono anni difficilissimi, dobbiamo imparare la tolleranza, la flessibilità e ripeterci in ogni istante che stiamo fa- cendo un servizio per il tempo che è necessario. Dobbiamo imparare a comprendere cosa sta dietro le distanze che le ragazzine mettono tra loro e noi, quel sogno di «normalità» per il quale farebbero qualunque cosa; e mentre proviamo a capire non possiamo demordere. Due anni più tardi, davanti al giudice del Tribunale dei minori, che convoca tutti per decidere come chiudere l’affidamento, la mamma dice che è me- glio che le bambine stiano con gli affidatari. L’enne- simo colpo di scena riduce Alice e Giulia a uno straccio. Ci vogliono due o tre mesi per riprendersi e Giulia inizia a non voler più mangiare. Piano piano, non drammatizzando le cose e mante- nendo nel cuore la profonda fiducia che queste bambine possano farcela, si chiacchiera della delu- sione e della paura e si arriva a comprendere che «la mamma ha scelto il meglio per voi, lei sa che non riusciva a stare dietro a tutto quello che fate: quante cose fate! Come farebbe lei da sola a cor- rere dietro a voi tutto il giorno? Lei ha scelto il me- glio perché vi vuole molto bene e dovete esserle grate per questo». Piano piano la fame ritorna… accade ancora, basta una notizia che sconquassa. E anche questa volta dobbiamo ricominciare. AGOSTO-SETTEMBRE 2012 MC 41 MC «E ORA VOLERAI»

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