Missioni Consolata - Aprile 2012

cui Gesù ha parlato, non c’è quella pace interiore che pro- viene dall’incontro con Cristo. Se non si attua un intervento educa- tivo serio, concreto, io temo che quando questi ragazzi cresce- ranno e diverranno politici, diri- genti, ognuno penserà per sé, e allora, altro che democrazia». La profezia funesta del missio- nario viene subito seguita dalla proposta di una soluzione: «Bi- sogna parlare di Dio: si possono affrontare le problematiche dei ragazzi a livello psicologico, di amicizia, però finché non si ar- riva a Gesù Cristo, non si risolve niente. Ci sono dei demoni che vengono cacciati solo attraverso la preghiera. Ci sono certe abitu- dini di vita, certi vizi, che, senza Gesù Cristo, non si possono su- perare. La missione è andare in- contro alla gente che magari non soffre materialmente – benché con la crisi attuale si rischia di soffrire anche da questo punto di vista – ma soffre dentro». IMMAGINARIO E REALTÀ DI DUE CONTINENTI Data la sua esperienza italiana, ogni volta che torna in Kenya, padre Nyamasyo, come viene chiamato da alcuni giovani che lo frequentano, viene assalito da domande sul suo «paese adot- tivo» in modo del tutto simile a quello con cui in Italia si ricopre di domande il missionario che torna dall’Amazzonia o dalla Co- rea. «La gente è molto attratta. Quando sono stato a casa qual- evangelizzazione. La Chiesa non è presente lì dove vado io, è per questo che mi considero missio- nario». Il nostro interlocutore si acca- lora parlando degli studenti in- contrati nelle scuole superiori e ci parla di un altro preconcetto che rende difficile agli italiani considerare il proprio paese come luogo di missione: «I mis- sionari spesso sono visti come uomini che vanno dai poveri per costruire scuole, ospedali, pozzi. Se la missione è ridotta a que- sto, l’Italia non è una terra di missione. Nelle problematiche sociali italiane, grazie a Dio, la Chiesa ha già un impegno forte senza bisogno di noi. Qui in Italia c’è un certo senso di autosuffi- cienza, e questo fa male a tutti: quando vado nelle scuole e fac- cio vedere filmati che parlano di povertà, di guerra, di Aids, di conflitti intertribali, di solito i ra- gazzi sono d’accordo che sono situazioni in cui l’intervento di un missionario è importante, ma quando parliamo di divorzio, droga, solitudine, depressione, sofferenze che colpiscono le persone in Italia, allora dicono che sono cose normali, che non c’è bisogno dei missionari per affrontarle». Forse perché parla di scuola e di studenti, padre Nicholas, dietro la sua scrivania, assume un con- tegno solenne da insegnante, al- zando l’indice. «Italia ed Europa sono luoghi di missione perché non c’è la pienezza della vita di che mese fa ho dato dell’Europa un’immagine molto positiva: una Chiesa che ha radici, la serietà della gente nel darsi da fare, ad esempio sotto l’aspetto profes- sionale, ma anche la sincerità delle persone. Parlo di queste cose per spronare i miei conter- ranei a imparare da questa so- cietà. Però poi metto in guardia, parlo della globalizzazione, dico che non tutto funziona, esorto i giovani a stare attenti ad alcuni disvalori europei come il mettere al centro i soldi invece della per- sona umana. Alcuni mi hanno chiesto: “possiamo venire in Eu- ropa a lavorare?”. Io ho detto loro che sarebbe meglio stare a casa per far sviluppare il Kenya». L’immagine che nel suo paese si ha dell’Europa è quella attraente di un continente benestante in cui si vive nel benessere. È l’im- magine di sé che l’occidente, tenta di dare al mondo, oltre che a se stesso, anche attraverso il possesso quasi esclusivo dei mezzi di comunicazione e d’informazione a livello globale. Chiediamo a padre Nicholas cosa ne pensa dell’immagine stereotipata dell’Africa che pro- pongono i mass media italiani, accompagnati e confermati a volte da Ong e da missionari: quella di un continente in guerra, che soffre fame e malat- tie, popolato di gente priva di ini- ziativa, incapace di badare a se stessa, disperata. Il missionario, dopo la sua risata di rito, am- APRILE 2012 MC 55

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