Missioni Consolata - Settembre 2009

14 MC SETTEMBRE 2009 ECUADOR e scienziati. L’edificio è moderno, in cemento armato, per evitare la cor- rosione dovuta al clima. Da una decina d’anni il centro è fornito anche di una costruzione che consente l’alloggio a una trenti- na di persone.Così biologi e natura- listi di diverse parti del mondo, han- no potuto visitare la riserva, come pure diversi gruppi di studenti uni- versitari di Quito hanno fatto espe- rienza in campo, imparando a cono- scere le migliaia e migliaia di specie animali e vegetali della foresta di O- tonga, molte delle quali non hanno ancora un nome perché nessuno le ha ancora scoperte: specie diverse di farfalle, di orchidee (3.600 specie) e bromeliacee, fiori e uccelli colorati, insetti e serpenti, con i quali Giovan- ni Onore ha una dimestichezza sor- prendente. La nostra guida è Jessica, bimba di 11 anni, rimasta orfana con 5 fratelli due anni fa, quando la madre è mor- ta per il morso di un serpente,men- tre tagliava la canna.Giovanni si è preso a cuore la famiglia, dà lavoro e fa studiare i ragazzi. A Otonga fratel Giovanni ha accol- to varie famiglie che trovano da vi- vere nella conservazione della riser- va e in varie attività artigianali, co- struendo così una comunità grata e solidale verso il missionario italiano, come dimostra quanto è accaduto pochi giorni dopo la mia visita: alcu- ni banditi sono entrati nel centro di Otongachi, armi in pugno, terroriz- zando e depredando gli ospitati, un gruppo di studiosi e appassionati della natura canadesi. Ma i contadini che abitano nei dintorni si sono insospettiti, sono ac- corsi armati di machete , hanno cir- condato la foresta, chiamando rinforzi e la polizia della caserma più vicina, e insieme hanno catturato i banditi, eccetto uno, trovato poi feri- to e annegato due giorni dopo. GALAPAGOS «Non andare alle Galapagos - mi dice fratel Giovanni Onore -; hanno scarsa biodiversità e poi, sonomolto costose...».Ma come si fa, una volta arrivati in Ecuador, a ignorare quel postomeraviglioso, quel mondo a sé stante, dallo sviluppo botanico zoologico fuori dall’ordinario, sper- duto nell’oceano a mille chilometri dalla costa ecuadoriana? Disobbedi- sco e, la mia amica e io, partiamo con un volo da Guayaquil. In aereo, siede accanto a me un giovane danese, che fa parte di un gruppo di 17 studenti che vivono in Ecuador grazie ai programmi di scambi interculturali. «La famiglia che mi ospita è meravigliosa e mol- to numerosa - mi confida -. La città dove abito è al confine col Perù, le scuole sono di livellomolto basso e i ragazzi che vanno all’Università di Guayaquil devono pagare per entra- re e c’è il numero chiuso». Questi ragazzi hanno la fortuna di visitare solo qualche isola dell’arci- pelago. Noi decidiamo di fermarci più a lungo, ne vale la pena.Alcune i- sole sono abitate da coloni, inviati nel dopoguerra dal governo.Ma poi, a partire dal 1964 il governo ecua- doriano si è reso conto dell’impor- tanza delle isole e ha cominciato a impegnarsi per riparare i danni subi- ti dall’ambiente per l’introduzione di animali e piante estranee all’ecosi- stema. Puerto Ayora è la cittadina più grande; alle 10 di sera il parco giochi è ancora pieno di bambini. L’atmo- sfera è molto diversa da quella, così tesa, che si respira nelle piazze delle città del continente. Al parco incontro Julio e Inés, una coppia di anziani che ha ricevuto dai figli il dono di un viaggio per l’anni- versario di nozze. «Siamo insieme da 50 anni - spiega Julio -.Abitiamo a nord di Quito, nella casa che ci sia- mo costruita, circondata da un giar- dino con alberi da frutta e verdura». Ora che è in pensione, da impiegato del ministero delle finanze, Julio si è comprato un’auto e, quando se la sente, fa il tassista.Con i 6 figli tutti sistemati e 11 nipoti, Inés si dà anco- ra da fare nel commercio di frutta e verdura, che compera ad Ambato e rifornisce i supermercati della capi- tale. Pare che vi sia molta richiesta di trasferirsi sulle isole, per la vita tran- quilla e l’assenza di criminalità, così diffusa nelle città ecuadoriane. Si pone così il problema di non stravol- gere l’ecosistema già a rischio a cau- sa del turismo, che quest’anno ha a- vuto un rallentamento a causa della crisi internazionale, dopo anni di crescita forte. Pato, la nostra guida, vive con la fa- miglia a San Cristòbal, una delle iso- le più belle, tra quelle abitate, dove è nato da una famiglia di contadini della sierra, immigrati negli anni ‘50, inviati dal governo per colonizzare le isole.Dopo aver seguito un corso presso il centro di ricerche di Puerto Ayora, egli si è impiegato come gui- da naturalistica, a bordo delle navi che trasportano i visitatori nell’arci- pelago. Senza una seria preparazio- ne scientifica, Pato trova difficoltà a esprimersi e rendere interessanti le visite. Mi rendo conto che la qualità del- le guide si è abbassata, da quando visitai i luoghi 16 anni fa.Allora era- no studiosi, anche stranieri, che cu- ravano le visite delle isole.Nello stes- so tempo ho notato che in alcuni ca- si la situazione è migliorata, gli straordinari animali endemici per cui le isole sono famose (uccelli, i- guane, pinguini e otarie... ) sono au- mentati. La lotta per eliminare ani- mali estranei come le capre, sta dan- do i primi frutti. ■ Fratel Giovanni Onore nel suo parco di Otonga.

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