Missioni Consolata - Giugno 2008

MISSIONI CONSOLATA stretti a uscire per andare in bagno, ma soprattutto non dovevamo arriva- re fin qui per prendere l’acqua».Mi in- dica un contatore fissato su un tubo che viene fuori dal terreno emi fa ca- pire a gesti che per quell’acqua paga- no una bolletta troppo cara. «Portami in Italia» Entriamo in una delle baracche,do- ve troviamo il padre di Handan e un a- mico. Ci sediamo su un tappeto che copre tutto il terreno, in un ambiente ordinato e pulito nonostante gli spazi ridotti. I due uomini mi mostrano un documento ufficiale firmato dal sinda- co dellamunicipalità di Küçükçekme- ce, AzizYeniay, in cui si dichiara che le de- molizioni saranno l’occasione per gli abitanti di Ayazma per cambiare vita. Lamunicipalità di Istanbul,quella di Küçükçekmece eToki, l’«Amministrazione centrale alloggi», provvederanno a fornire soluzioni abi- tative tagliate sulle esigenze di ogni nucleo familiare, sia esso proprietario di immobile o affittuario.Nuovemo- derne case con tutte le comodità sono la soluzione proposta agli abitanti di Ayazma,che, sempre secondo il docu- mento, non si saranno dispersi ma ri- marranno uniti in una nuova comu- nità. Segue una sfilza di documenti da presentare al comune per avere diritto ad una nuova abitazione.Molti resi- denti non hanno quelle carte,perché lamaggior parte degli immobili è an- cora abusiva.E 18 famiglie hanno de- ciso di rimanere adAyazma per de- nunciare l’operazione delle autorità, che fingono di non sapere che lamag- gior parte degli abitanti della gecekon- du è costituita da profughi,scappati senza nulla dal sud-est dellaTurchia. Mentre lascio il campoHandanmi prende da parte, sorride,emi rivolge una preghiera:«Portami in Italia…». Anche Ahmad è curdo,ha una pic- cola attività dove vende pezzi di ri- cambio per lavandini e oggetti di fer- ramenta, vive nello storico quartiere di Tarlabashi,a 2 fermate di tramda Taksim, il cuore commerciale di Istan- bul. «Sono arrivato nel 1994.Abi- tavo in un I stanbul. «Era notte fonda quando è arrivata la polizia.Svegliati di sopras- salto, siamo stati costretti a uscire dalle case. Io non volevo uscire così.Era dicembre ed era freddo:mi sono rifiu- tata. Sono stata picchiata e amiopa- dre hanno rotto unbraccio».Handan è curda e dimostra più dei suoi 15 anni.È cresciuta in fretta edha l’aspetto di una donna.Le ciabatte che indossa sbucano dal lungo vestito colorato. Mentre cammina tra lemacerie, la sua voce è rotta dall’emozione.Racconta, sistemandosi il velo e indicando le pie- tre e i calcinacci che ci circondano. «Siamo usciti tutti e,dopo qualche ora, le nostre case non c’eranopiù». Siamo adAyazma, gecekondu curda nella periferia di Istanbul,vicino allo stadioAtatürk dove si giocò la finale di Champions League nel 2005. Ge- cekondu significa «sorto in una not- te», ed è un’espressione che indica le baraccopoli (1).Continuiamo a cam- minare facendo gimcana tra i cumu- li di macerie. Quando incontriamo una baracca o una toilette improvvi- sata (una «turca» inmezzo al nulla e senza acqua corrente,per cui ogni vol- ta che la si usa c’è un andirivieni con i secchi),Handanmi spiega che «pri- ma non era così,non eravamo co- Un vicolo di Tarlabashi, quartiere nel cuore com- merciale di Istanbul. A destra: due donne. Dopo Sulukule ( cfr. MC, maggio ), dove gli abitanti sono (o erano rom), adesso sgombrare tocca a Ayazma e Tarlabashi , quartieri di Istanbul in cui vivono molti profughi. Anche in questo caso le autorità turche parlano di una riqualificazione urbanistica che porterà benefici per tutti. Ma anche in questo caso sono gli affari che muovono tutto. Con in più una motivazione politica: gli abitanti sono in maggioranza curdi... Reportage / Breve viaggio nei quartieri di Istanbul (2 a ): Ayazma e Tarlabashi

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