Missioni Consolata - Maggio 2008

52 MC MAGGIO 2008 MEDICINA «Già nei quattro anni in cui lavora- vo come infermiera presso il reparto di ginecologia oncologica del Sant’Anna di Torino, sentivo l’esi- genza di fermarmi di fronte alla ter- minalità. Era come se una spinta in- terna , molto viscerale, qualcosa di somigliante al mio io più profondo, mi invitasse a spostare il paravento o ad aprire la porta di una stanza in cui stava avvenendo un decesso. Volevo essere lì e far sentire la mia presenza fisica e mentale». Parole e aspetto di Raffaella Oria non tradi- scono il suo potenziale umano. E non stupisce che lavorare con i ma- lati terminali sia da 10 anni la sua missione. Abbiamo avutomodo di seguirla da vicino, a domicilio, e ho speri- mentato quell’energia carezzevole, femminile, fatta di un universo inte- riore che si muove a passi di danza, in una terra di passaggio.Dove di quella danza c’è un bisogno infinito. «L’esperienza domiciliare mi ha dato la possibilità di esprimere al meglio la mia inclinazione ai rapporti umani e di responsabilizzarmi professional- mente. Senza nessun camice, espo- nendomi in prima persona per quel- lo che sono realmente. Posso dire che è stata la vita stessa e l’esperien- za a formare la mia umanità più ve- ra.Quella che, oggi, riesce a interve- nire nei momenti più complessi, a cogliere un disagio psicologico della famiglia, a cercare il giusto conforto. Dieci anni fa non sarebbe stato lo stesso». Le abbiamo visto fare un gesto di cura e di amore.Che non posso di- menticare. Era il commiato fisico ad un corpo ormai senza vita. La tenera ricomposizione di quest’ultimo. For- se non rientra più nella sua sfera di competenza, perché lo fa? «Un corpo non è solo un oggetto esanime, bensì una vita intera. Fatta di tanti fotogrammi che compongo- no un ciclo di amore, di pensieri, di speranze. E, purtroppo, è un corpo ferito dall’abuso sanitario.Merita un ultimo saluto dignitoso, una carezza che possa estendersi dall’ultimo re- spiro in poi. Tecnicamente rimuovo gli eventuali dispositivi (medicazio- ni, cannule endovenose o catetere) e poi provvedo all’igiene del corpo e, se la famiglia lo desidera, alla vesti- zione. I tempi sono fondamentali. Non esiste fretta ma una dolce fluidità.Un ultimo, lungo saluto che soffia ancora di vita». Dopo tantomorire, ci sono dei momenti in cui si rischia il burn-out (dall’inglese bruciarsi: lento proces- so di logoramento che porta a non discernere la propria vita da quella delle persone a cui si bada)? Come comportarsi? «Mi è capitato di avere nello stes- so anno quattro casi di pazienti ana- graficamente simili a me.Questo, al- la lunga, sfocia in unmeccanismo di immedesimazione e di grande fragi- lità. La soluzione? Chiedere ferie e farsi aiutare dai colleghi, snellire il carico di lavoro o prendere in cura pazienti di diversa fascia anagrafi- ca». Cosa le ha insegnato questo lavo- ro, cosa si porta dietro nel suo quoti- diano? «Mi ricorda, in ogni istante, di vive- re sempre il momento. E di farlo nel Stefania Chiodino, coordina il gruppo di psicologi Faro: occorre «agire sull’autostima del soggetto».

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