Missioni Consolata - Febbraio 2008

54 MC FEBBRAIO 2008 «U n solo dito non può am- mazzare un pidocchio» recita un proverbio afri- cano. Ci ricorda che comunione e u- nità sono alla base della società sul continente. Basta entrare in un vil- laggio e subito, dopo i saluti, si co- mincia a cercare se esiste qualche collegamento famigliare, di consan- guineità omatrimoniale. Trovato, non ci si chiama più per nome ma secondo il legame che esiste tra noi. Così è la mentalità africana in gene- re: ogni uomo o donna è collegato in qualche modo con gli altri. Questo forte senso di comunità era però limitato, solo rivolto all’in- terno delle diverse tribù e gruppi et- nici e dunque gli altri erano conside- rati estranei. Con la colonizzazione e globalizzazione, gli africani si sono accorti che i loro vicini non erano dei nemici ma collaboratori per un mondo più grande e sicuro. Dopo l’indipendenza, i diversi capi fonda- tori degli stati post coloniali sentiro- no il bisogno di unità per affrontare le sfide dello sviluppo insieme.Così nacque l’idea delle cooperazioni re- gionali tra stati vicini.Ad esempio, il Mercato comune dell’Africa orienta- le e australe (Comesa), e la Comunità economica degli stati dell’Africa del- l’Ovest (Cedeao / Ecowas), e altre ag- gregazioni ancora. A livello continentale prima nella Per primo ci pensò Kwame Nkrumah, poi nacque l’Organizzazione degli stati africani, che divenne l’Unione africana. Oggi i capi di stato discutono sui tempi e modi per la creazione degli Stati Uniti d’Africa. C’è chi accelera e chi frena. Ma oltre all’unione degli stati occorre fare quella dei popoli. E l’identità degli africani è ancora più legata al proprio clan che al continente. AFRICA, UNITA? La lunga strada verso gli Stati Uniti d’Africa AFRICA di Nicholas Nyamasyo Muthoka*

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