Missioni Consolata - Febbraio 2006

MISSIONI CONSOLATA 11 1111 11111111 Asinistra, il dott. Mario Eandi, professore ordinario di farmacologia. A destra, don Ermis Segatti, referente della diocesi di Torino per la cultura. profilo culturale questa esperienza evoca temi vitali per la comprensione del rapporto tra uomo e natura, tra medicina e cultura dei popoli,ed evidenzia i limiti intrinseci a una visione puramente tecnicistica e riduzionistica dell'attuale scienza medica. L'approccio etnofarmacologico provoca il farmacologo a superare la visione strettamente tecnicistica del valore dei farmaci e a recuperare il significato complessivo della cura accogliendo e includendo nella propria scienza l'irrinunciabile dimensione umanistica distillata nei millenni dall'evoluzione e dalla storia dei popoli. Sotto il profilo della collaborazione umanitaria l'esperienza internazionale sopra riferita può essere assunta come modello per coinvolgere ricercatori dei paesi sviluppati e di quelli in via di sviluppo in un unico raziona- . le sforzo per far evolvere in modo utile le conoscenze sulle malattie, nel caso specifico sull'infezione da Hiv, e sui possibili rimedi, ascoltando la storia e la cultura dei popoli e la voce infinitamente ricca, seppur nascosta, della biodiversità della natura. • ~~~m'-.ì'~··&~"'!'~l . ETICA EAIDS Gli importanti risvolti etici, già toccati in precedenti interventi, che condivido e faccio propri, suscitano una domanda iniziale e previe: che cosa c'entra la cultura quando sono in gioco situazioni tremende come la guerra, la fame, le ~stizie che insidiano il mondo attuale? E, oggi, l' · ? Si può dire che in tempi recenti, e nel continente africano in particolare, l'Aids sta evocando intomo a sé un orizzonte più ampio di attenzioni e di interventi. In altre parole l'Aids richiede che si metta in moto precisamente la cultura, la più alta tecnologia che siamo in grado di elaborare, una tecnologia che regge, ispira e interferisce fortemente in ogni direzione, sia positiva sia negativa, il diffondersi e il radicarsi di questa insidiosa e dilagante forma di malattia. Se ci chiediamo perché in quasi tutte le aree del mondo, con varie sfumature, si continua ad affrontarla con difficoltà a viso aperto, con un approccio, diciamo, asettico, la risposta a tale domanda incrocia inevitabilmente questioni di carattere etico o di costume e, al limita, anche connesse con le credenze religiose. C'è quasi sempre un tasso di «inviolabilità,,, che circonda l'Aids al punto da non vederlo puramente in termini di malattia, assimilabile ad altri fenomeni dolorosi si, ma non conturbanti. Spesso è proprio in occasione dell'Aids che emergono con forza problemi che non sono solo di carattere gestionale o politico o sociale, ma di visione più complessiva, che richiedono una sensibilità attenta, appunto, alterritorio ~eografico e spirituale in cui l'Aids si sviluppa Sia negli individui sia nelle civiltà. Qui la cultura può svolgere un ruolo integrante di primaria importanza nel tener conto e nel fronteggiare adeguatamente tabù di vario ordine e grado, che interferiscono e spesso distorcono la percezione del problema e, di conseguenza, lo complicano. L'Aids richiede strategie integrate e non solo asettico-curative. Un'ulteriore osservazione riguarda il modo con cui la nostra culture discute la questione dell'Aids in Africa e cerca di suggerire strategie di intervento. Non è facile accettare, di fronte a gravi e pressanti problemi, quali l'Aids, di essere non l'emergenza, ma «una» emergenza. Nella particolare condizione di comunicazione aperta a 360 gradi nel tempo e nello spazio, che caratterizza oggi il pianeta terra, emergenze sempre nuove si ag~iungono a quelle già note e tutr tora permanenti. Ci troviamo in una condizione di inevitabile tensione tra le emergenze, tutte ugualmente pressanti. Mi pare che sia saggio e costruttivo accettare il fatto che l'Aids è «una» emergenza, senza alcun titolo di priorità. Né più né meno, insieme al problema della fame, della ecologia, delle guerre... In un contesto del pianeta terra, dentro cui è prevedibile un crescendo di richieste globali di solidarietà, occorre abituarsi a gestire bene le emergenze che si scelgono, senza usare indebitamente l'amplificatore delle priorità. Si può non indebitamente parlare di una attitudine culturale al pluralismo delle solidarietà o, se si wole, di una sana, ecologica educazione spirituale alla gestione delle emergenze. Evitando l'inflazione dei superlativi, ci predisponiamo alla convivenza dei bisogni. ERIIIIIB BEoAm MC FEBBRAIO 2006 • 63

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