Missioni Consolata - Ottobre 2021

4 chiacchiere con... una lettera al padre Gaudenzio Barlassina, superiore generale, ringraziandolo per la sua vici- nanza e chiedendogli preghiere affinché «il profumo della mia vita fosse motivo di gioia per la Chiesa di Cristo». Sei partito subito per le missioni? Praticamente sì. Ho dovuto pas- sare ancora un annetto a comple- tare i miei studi teologici e nel marzo del 1951 sono partito da Ve- nezia in nave per il Kenya, desti- nato alla diocesi di Nyeri. Prima nella missione di Gatanga e poi, dal 1954 al 1960, a Mugoiri. Sono stati anni bellissimi, di piena im- mersione nella realtà del popolo kikuyu. Mentre costruivo la chiesa di Mu- goiri si rinsaldava nella fede una comunità cristiana molto vivace, nonostante le tante difficoltà di quegli anni di rivolta anticoloniale (e a volte anche anticristiana) dei Mau Mau, di cui i Kikuyu erano i principali protagonisti. Sei rimasto dieci anni di fila in Kenya, ma non facevate mai le vacanze in Italia? Un tempo, quando si partiva, lo si faceva per la vita, anche perché i viaggi non erano facili. Invece noi potevamo già tornare per tre mesi ogni cinque anni. Quando sono tornato in Italia nel 1961, però, mi sono dovuto fermare per circa due anni, perché la mia salute non era delle migliori. Sono stato a Rovereto, nel semi- nario, sia per dare una mano, che, soprattutto per rimettermi in sesto. Però la nostalgia dell’A- frica era troppo forte, tanto più che ero ben cosciente che il mio vescovo a Nyeri, monsignor Carlo Cavallera, era impaziente di aprire nuove missioni nel Nord della sua enorme diocesi, dove ai missionari era stato impedito di entrare fino ad allora. Ci vuoi spiegare meglio? Certo. La diocesi di Nyeri è stata la prima a essere fondata dai Missionari della Consolata, già nel 1905. Aveva un’estensione enorme. Con la diocesi di Meru, che sarebbe stata separata da essa nel 1926, copriva un’area che andava dal Lago Rodolfo (oggi Turkana) fino ai confini con la Somalia e da un centinaio di chilometri a Nord di Nairobi fino all’Etiopia, un territorio più grande dell’Italia. Ma fino a dopo la Seconda guerra mondiale, tutta la zona poco più a Nord del- l’equatore e a Est verso la Soma- lia era stata off limits per i missio- nari cattolici. Gli inglesi, allora co- 66 ottobre 2021 MC lonizzatori, non la consideravano sicura e, tenendo conto che gli abitanti erano solo poche decine di migliaia, e tutti pastori nomadi, ritenevano che non fosse il caso di disturbare i musulmani e i po- chi protestanti che erano già là (dove gli inglesi avevano aperto degli uffici governativi) ed erano considerati più che sufficienti per i bisogni religiosi di quella gente. Ma monsignor Cavallera non era dello stesso parere. Sapeva che in quelle zone c’erano anche delle piccolissime comunità catto- liche e poi non poteva ignorare un così vasto territorio affidato alle sue cure pastorali. Per que- sto, fin dai primi anni Cinquanta, aveva fatto avventurosi viaggi per visitare tutti i centri dove gli in- glesi avevano uffici governativi, da Wajir a Moyale, da Laisamis a Loyangallani, da Baragoi a Marsa- bit. Si era reso conto che sì, pro- testanti e musulmani si occupa- vano di religione, ma niente di più. Poi la gente non era affatto musulmana o protestante, ma la maggior parte era di religione tra- dizionale. In più non desiderava

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