Missioni Consolata - Ottobre 2021

diversi mesi, fino all’autunno del 2020. L’11 novembre è iniziato il primo lockdown serio, fino a Natale. Non si poteva uscire di casa. In quei mesi i mongoli hanno capito che non erano indenni neanche loro. Con l’anno nuovo è iniziata la campagna vacci- nale di massa. Questa primavera è stato un sus- seguirsi di lockdown e parziali riaperture. Oggi (ad agosto, ndr ) i casi sono molti e ci sono ancora decessi quotidiani, con picchi di 10 per- sone al giorno * ». Quali nuovi problemi e nuove opportunità ha portato la pandemia al paese? «Nei momenti di chiusura sono emerse con più forza le grandi tensioni già presenti nella popola- zione. Quelle che sfociano in piaghe sociali come l’alcolismo, che infatti ha avuto un boom. La famiglia si sta sgretolando in Mongolia. Molte famiglie si sono trovate all’improvviso a stare “recluse” insieme nei pochi metri quadri della loro gher o appartamento, e sono venute fuori molte situazioni difficili, soprattutto laddove l’unità familiare era già minacciata dall’assenza di uno dei genitori, solitamente il padre. In gene- rale, è balzata all’occhio di tutti la carenza del si- stema sanitario. In un paese che sta crescendo, la sanità pubblica dovrebbe essere una priorità. Il popolo mongolo, però, si compatta molto bene in caso di emergenza. Il sentimento di unità na- zionale è molto forte, e si è visto chiaramente con la pandemia. Ad esempio, nessuno si la- menta della mascherina. Sono anche emersi casi di eroismo civile: quando scarseggiavano ambulanze e autisti e lo stato ha chiesto aiuto alla popolazione, molta gente, anche con la propria macchina, si è offerta. Come Chiesa abbiamo innanzitutto cercato di soccorrere le persone più in difficoltà, organiz- zando distribuzioni di generi di prima necessità. In questo, molti amici italiani sono stati di grande aiuto, rispondendo con generosità ai no- Monsignor Marengo, lei è diventato vescovo l’8 agosto 2020 nel bel mezzo della pandemia. «La mia vita è cambiata in un anno strano. Molte delle cose legate al diventare vescovo, io le ho vissute fuori dagli schemi. Ad esempio: quando vieni nominato vescovo, entro 90 giorni devi essere consacrato. Ecco, per me non è stato possibile, perché in Mongolia non poteva venire nessuno, il paese era chiuso. Un altro esempio è la nomina: di solito vi è coinvolta molta gente, compreso il nunzio… per me, invece, eravamo quattro gatti, e tutto è stato fatto in sordina. L’ho presa come un’indicazione di metodo, che poi è quello allamaniano di non fare rumore. Oggi la Mongolia è ancora isolata e i luoghi di culto sono tutti chiusi da un anno e mezzo. All’inizio, ho vissuto la pandemia in campagna, ad Arvahieer, come parroco. Quando è arrivato il momento di dare pubblicamente la notizia della mia nomina, sono andato in corriera a Ulaan Baatar. In quei giorni l’Italia era il paese più col- pito dal coronavirus. Quando sono arrivato in capitale, è entrata la polizia nella corriera e, dato che io ero l’unico straniero, mi hanno chiesto di dove fossi. Quando ho risposto che ero italiano si sono spaventati tutti. Allora l’autista, che mi conosce, ha subito detto: “No no, lui vive qua, non era in Italia in queste settimane”». La chiusura ha riguardato solo le riunioni religiose, o tutti? «A ondate è stata ridotta, fino a essere cancel- lata, anche la vita sociale in generale: le attività, i cinema, i teatri, ecc. A intermittenza, le altre attività sono riprese, quella religiosa no. Non solo i luoghi di culto cri- stiani, ma tutti, anche i monasteri buddisti. Per noi cristiani è fondamentale recarci di persona in chiesa, per la celebrazione dei sacramenti, so- prattutto l’eucaristia. È dunque un grande sacrifi- cio quello che ci viene chiesto». Ci fa una cronaca del Covid nel paese? «Quando in Italia c’era il Festival di Sanremo, nel 2020, in Mongolia eravamo già chiusi. Appena sono arrivate le prime notizie da Wuhan, il governo ha chiuso il confine con la Cina e ha bloccato tutte le comunicazioni interne. In Mongolia sono molto bravi perché sono abi- tuati a epidemie periodiche, per esempio alla peste bubbonica trasmessa dalle marmotte e dai roditori. Ogni anno d’estate ci sono dei luoghi in cui scoppia un focolaio, e allora chiudono tutto. Per il Covid sono stati tempestivi, e sono riusciti a stare tranquilli per diversi mesi. A marzo 2020 c’è stato il primo caso di un posi- tivo: era un francese, lavoratore di una multina- zionale. All’inizio è stato molto male, ma poi è guarito, e questa guarigione è stata vissuta dal paese come una vittoria. Si è diffusa un po’ l’illu- sione che la Mongolia fosse esente dalla pande- mia. In effetti, i casi sono stati molto pochi per ssier 38 ottobre 2021 © A MC - Archivio otogra ico MC

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