Missioni Consolata - Ottobre 2021

31 ottobre 2021 MC fino a raggiungere una pre- senza a terra di 110mila uomini nel 2011. Ma le cose non anda- rono per il verso voluto e l’oleo- dotto rimase congelato per una diecina di anni. Poi ripartì ma senza le multinazionali ameri- cane che, nel frattempo, ave- vano perso qualsiasi interesse per quell’area geografica. Per di più Unocal, la protagonista prin- cipale, era caduta in disgrazia. Travolta da un processo per vio- lazione dei diritti umani a causa di una collaborazione con il re- gime militare del Myanmar, nel 2005 venne fagocitata da Che- vron e scomparve per sempre. LARGO A CINA E RUSSIA Del resto con la crisi climatica ormai conclamata, il futuro dei combustibili fossili ha i giorni contati mentre altri minerali stanno assumendo importanza. Fra questi il rame, il litio, le terre rare , di cui l’Afghanistan sembra avere riserve importanti. Ma dopo 20 anni di occupa- zione militare, che in soldi è co- stata varie migliaia di miliardi di dollari (5.400 solo agli Stati Uniti), e in vite umane è costata la perdita di 47mila civili e 125mila soldati, di cui 6.300 americani, gli Stati Uniti hanno deciso che era meglio ritirarsi dall’Afghanistan e accettare che altri, magari la Cina o la Russia, traggano vantaggio da tali ric- chezze. La dimostrazione che, dove non può la morale, sono i fallimenti a indicare la strada più giusta da intapprendere. Francesco Gesualdi stici che facevano puntare il dito contro il governo dei Talebani. La somma da investire era così alta che Unocal affermò di es- sere disposta a mettersi in gioco solo se l’Afghanistan avesse dato garanzia di stabi- lità. In un’audizione al Con- gresso dichiarò: «Il progetto esige finanziamenti internazio- nali, accordi fra governi e ac- cordi fra governi e consorzio. Dunque, non potremo iniziare la costruzione dell’oleodotto fin- ché l’Afghanistan non sarà am- ministrato da un governo rico- nosciuto internazionalmente». E a rassicurarla che il governo de- gli Stari Uniti aveva recepito il messaggio, nel settembre 2001, pochi giorni prima dell’attacco alle Torri gemelle, il portavoce del dipartimento governativo dell’energia dichiarava: «L’im- portanza dell’Afghanistan da un punto di vista energetico deriva dalla sua posizione geografica: è l’unico passaggio possibile per fare arrivare il gas dal Mar Caspio al Mare Arabico». In realtà anche l’Iran era un’op- zione, almeno da un punto di vi- sta geografico. Ma non lo era da un punto di vista politico, e l’u- nico modo per permettere alle multinazionali petrolifere ameri- cane di condurre i loro affari in Asia Centrale era l’addomesti- camento dell’Afghanistan tra- mite la soppressione dei Tale- bani e l’instaurazione di un go- verno amico. Congetture? Può darsi. È un fatto tuttavia che nell’ottobre 2001 l’Afghanistan venne invaso, prima con sole bombe, poi anche con truppe, tutto troppo armato e organiz- zato per essere aggredito diret- tamente o per essere fatto implo- dere dall’interno. Ma l’idea di stringerlo a tenaglia fra tre paesi alleati degli Stati Uniti (Iraq, Af- ghanistan, Pakistan) deve essere stata seducente, quantunque l’arma più utilizzata per piegare l’Iran ai voleri delle potenze occi- dentali siano state le sanzioni economiche. E qui veniamo al terzo ambito d’indagine, quello economico, che va analizzato ogni volta che ci si trova di fronte a un conflitto armato. L’OLEODOTTO TAPI Al tempo in cui venne invaso, l’Afghanistan non presentava un grande interesse da un punto di vista economico. Paese mon- tuoso di difficile accesso, la sua popolazione è dedita principal- mente alla pastorizia e solo nelle zone meno aspre della parte occidentale pratica anche l’agricoltura (con una spiccata predilezione per la coltivazione del papavero da oppio ). Si sa- peva che nel suo sottosuolo era presente anche del gas, ma non in misura così cospicua da meri- tare l’esplorazione. Situazione ben diversa da quella dei paesi confinanti, in particolare l’Iran e il Turkmenistan che tutt’oggi si collocano rispettivamente al se- condo e al sesto posto per ri- serve mondiali di gas naturale. Ma il gas è vera ricchezza solo se si può fare arrivare ai paesi consumatori. Un problema sen- tito in particolare dal Turkmeni- stan, incastrato fra il Mar Caspio e le montagne. Per questo sul fi- nire del secolo scorso il Turk- menistan aveva stretto un ac- cordo con l’Afghanistan e il Pakistan per costruire un oleo- dotto, battezzato «Tapi» (dalle iniziali di Turkmenistan-Afghani- stan-Pakistan-India), che por- tasse il gas verso il Mare Ara- bico. E subito le imprese petroli- fere di tutto il mondo avevano sgomitato fra loro per aggiudi- carsi l’esecuzione dell’opera. Il match venne vinto da Unocal, un’impresa americana che però si ritirò quando cominciarono a moltiplicarsi gli attacchi terrori- Afghanistan | Talebani | Usa | Nato | Diritti delle donne R MC © Oil & Gas Journal

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