Missioni Consolata - Giugno 2021

73 giugno 20 1 MC R MC Come sei sopravvissuto a Milano dopo il ritorno degli austriaci? Grazie al successo della mia tra- gedia e di altri scritti che andavo pubblicando, sono stato assunto come precettore dei figli del conte Porro, e mi sono trasferito ad Arluno, vicino a Milano. Così ho potuto frequentare un gruppo vivace di letterati come Federico Confalonieri, Gian Domenico Ro- magnosi e Giovanni Berchet, come già facevo prima, appena arrivato a Milano, quando avevo stretto amicizia con letterati e scrittori come Vincenzo Monti e Ugo Foscolo, che già ammiravo dai miei studi in Francia. Sono stato anche in relazioni con per- sonaggi della cultura non italiana, come la scrittrice francese Ma- dame de Staël e il filosofo tede- sco Friedrich von Schlegel, consi- derato uno dei fondatori del Ro- manticismo. Un circolo di letterati, non di agitatori politici. Com’è che ti sei fatto arrestare e addirit- tura condannare a morte? Nel nostro circolo venivano so- stenute e sviluppate idee ten- denzialmente risorgimentali, volte alla possibilità di ottenere l’indipendenza totale dell’Italia da qualsiasi potenza straniera. Nel 1818 ci siamo anche avventurati nella pubblicazione di una rivista, «Il Conciliatore», di cui ero il diret- tore. La rivista non voleva avere posizioni radicali né in politica né in letteratura, ma di fatto era- vamo di tendenza romantica e antiaustriaca. È stata un’espe- rienza breve perché nel 1819 la polizia ci ha obbligato a chiudere. Ero anche entrato in un gruppo carbonaro, chiamato «i Federati». Ovviamente io e i miei amici era- vamo dei sorvegliati e quando gli austriaci sono riusciti a intercet- tare alcune lettere compromet- tenti spedite da uno di noi, Pietro Maroncelli, siamo stati arrestati. Era il 13 ottobre 1820. Ci hanno rinchiusi prima nella prigione dei Piombi di Venezia e poi in quella di Murano, e il 21 febbraio 1822 siamo stati condannati a morte. La sentenza è stata poi commu- tata a venti anni di carcere duro per Maroncelli e quindici per me, da scontare nella fortezza dello Spielberg, in quella che oggi è la Repubblica Ceca. Nel 1830 ci hanno graziati e siamo tornati in libertà. In famiglia avevi ricevuto una forte formazione religiosa, ma in gioventù te ne eri al- lontanato. Che è successo in carcere che ti ha fatto tor- nare alla fede? Il periodo francese e quello mila- nese, con tutti gli entusiasmi rivo- luzionari e gli influssi romantici, mi avevano allontanato dalla pra- tica della fede. Ma in prigione sono stato costretto a riflettere e ho avuto la grazia di avere con me alcune persone sinceramente credenti, come il conte Antonio Fortunato Oroboni, compagno di sventura in quel carcere e sin- cero cristiano che era stato arre- stato nel 1819 nel suo paese di Fratta Polesine dove aveva fon- dato uno dei primi gruppi carbo- nari. C’era anche il mio amico Pietro Maroncelli, anche lui cre- dente convinto. Dal carcere ho scritto a mio pa- dre nel 1822: «Tutti i mali mi sono diventati leggeri dacché ho ac- quistato qui il massimo dei beni, la religione, che il turbine del mondo m’aveva quasi rapito». È stata un’esperienza profonda. Ogni domenica partecipavo alla messa, meditavo assiduamente la Bibbia, avevo la possibilità di leggere libri devoti. La religione mi ha aiutato ad abbandonarmi alla volontà di Dio, a essere pa- ziente nel sopportare le prove, e mi ha dato la capacità di perdo- nare e amare tutti. Tornato in libertà hai scritto il libro «Le mie prigioni», che ti ha fatto conoscere in tutta Europa. Volevo ringraziare la Provvi- denza per l’esperienza che avevo vissuto e mi aveva cam- biato la vita. Per questo ho con- cluso il libro con queste parole: «Ah! Delle mie passate sciagure e della contentezza presente, come di tutto il bene e il male che mi sarà ancora serbato, sia benedetta la Provvidenza, della quale gli uomini e le cose, si vo- glia o non si voglia, sono mirabili stromenti [ sic ] ch’ella sa adoprare a fini degni di sé». «Le mie prigioni», che hanno vi- CC BY-SA 3.0 - da Wikipedia

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