Missioni Consolata - Giugno 2021

africani impegnati nella pastorale familiare. In quell’occasione avevo chiesto al superiore dele- gato, padre Ponce de León (ora vescovo di Man- zini in Eswatini), di poter prolungare di una settimana il mio soggiorno per visitare le nostre missioni in questo paese. Così nel giro di una settimana visitai quasi tutte le comunità dei mis- sionari della Consolata nel paese. Fu con grande emozione che nei pressi di Delmas pregai sul luogo dell’incidente mortale dei padri Paolino Ferreira e Alexius Lipingu. Una seconda visita in Sudafrica, sempre con visto turistico, fu più lunga, da dicembre 2007 a giu- gno 2008, un soggiorno di sei mesi nella parroc- chia di Daveyton, nell’arcidiocesi di Johannesburg, come aiuto al mio amico padre Ettore Viada, compagno di studi a Roma. Sebbene fossi prete da oltre quarant’anni, era la prima volta che mi trovavo in una parrocchia a tempo pieno, e fu molto bello. Quasi ogni giorno, accompagnato da un parrocchiano, visi- tavo le persone malate e gli anziani nelle loro case, leggendo sui loro volti la gioia nel ricevere la visita di un sacerdote e soprattutto la Comu- nione. Indimenticabile la scena di una signora anziana che, vedendomi arrivare, esclamò: « I am so happy, father! ». Sabato e domenica prestavo servizio nelle chiese succursali di San Martin e San Lambert. Tre giorni dopo il mio arrivo a Daveyton, mi chiamò la responsabile della pastorale familiare di Johannesburg per invitarmi a pranzo e per farmi conoscere un salesiano impegnato nella pastorale giovanile e dei fidanzati, naturalmente non me lo feci ripetere due volte. In quei sei mesi ebbi anche la possibilità di pren- dere parte alla celebrazione del trentesimo anni- versario del Marriage encounter in Sudafrica (iniziò nel 1978 come in Kenya) e di animare due fine settimana del programma Retrouvaille . Inoltre, con padre Tarcisio Foccoli, mio compa- gno di ordinazione e superiore delegato del- l’epoca, vissi un’altra esperienza memorabile: andare a Merrivale, nell’arcidiocesi di Durban, per vedere una casa che sarebbe poi stata la prima residenza del seminario teologico che si progettava di aprire (e che di fatto si aprì il primo settembre 2008): una novità molto importante per la nostra presenza sudafricana. Sorpresa gradita Nel mese di novembre 2019, mentre da tre anni risiedevo nella nostra comunità di Rivoli (To), il padre generale, Stefano Camerlengo, mi propose una nuova partenza per il Sudafrica, questa volta con regolare visto di residenza. Era la terza desti- nazione in Africa dopo il Kenya e la RdC, infram- mezzati da due «parentesi» di dodici anni ciascuna, in Usa e in Italia. Mentre preparavo i documenti per richiedere il visto regolare, cercai di rinfrescare le mie memo- rie sull’Istituto in Sudafrica cominciando dalla sua preistoria. Infatti la prima presenza di missionari della Con- solata nel paese non era stata pianificata dai no- stri superiori o da una decisione di un Capitolo generale, ma dal governo inglese che allo scop- pio della guerra nel 1940, senza tanti compli- menti, vi deportò ben 89 nostri missionari che lavoravano in Kenya, i quali da un giorno all’altro si trovarono con l’etichetta di nemici di sua Mae- stà britannica. Questi nostri confratelli, con la la- boriosità tipica dei missionari, durante quasi quattro anni nel campo di concentramento di Koffiefontein pregarono, studiarono, si tennero aggiornati sulla Bibbia e sulla teologia, tessendo anche relazioni con altri prigionieri italiani confi- nati con loro, aiutandoli anche a rinfrescare la loro pratica religiosa. Scorrendo il loro elenco vidi che li avevo conosciuti quasi tutti in Italia o durante i miei dodici anni in Kenya, e alcuni di loro (in particolare fratel Guido Grosso, indimen- ticabile formatore al Consolata seminary di Lan- gata) mi raccontarono come si erano tenuti occupati in quel periodo. Nel 1948 c’era stata poi una presenza Imc pro- grammata per il Sudafrica: l’apertura, a Cape Town, di una «casa di studi» per i missionari de- stinati a frequentare corsi di specializzazione per insegnare nelle scuole, soprattutto in Kenya. Tra i tanti, non posso non ricordare qui padre Giu- seppe Bertaina (ucciso in Kenya nel 2009), che avrebbe lasciato memoria indelebile, e padre Carlo Capone che si laureò in medicina (cosa rara per un prete a quel tempo, per cui richiese un permesso speciale dal Vaticano) e svolse poi un grande lavoro nel coordinare i servizi del Catholic Relief Services (la Caritas degli Stati Uniti, ndr ) in tutta l’Africa. Sotto: parrocchia St. Nicholas di Daveyton, progetto di emergenza Covid 19. South Africa 50 MC giugno 2021 41 Durante il lockdown, ho iniziato a comunicare con i miei parrochiani tramite whatsapp, inviando video settimanali. “

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