Missioni Consolata - Aprile 2021

un’amicizia o di un amore. Anche Dio sembra perplesso di fronte alla domanda, come se non se l’aspettasse. Poi esce in un «Sono ciò che sono» (3,14), che potrebbe essere tradotto anche come «Sarò ciò che sarò» o «Continuerò ad essere ciò che sono». E prosegue, quasi con- vinto da una trovata che sembre- rebbe estemporanea: «Dirai così agli israeliti: Sarò/sono/continuo a essere mi ha mandato a voi». Potremmo addirittura renderlo con «Ci sarò». Mosè ha chiesto un nome, una definizione, un’i- dentità precisa e un perimetro della missione chiaro; ma di fronte a questa richiesta, che sembra quasi prospettare un la- voro, Dio risponde con la più alta e coraggiosa promessa: «Io ci sarò, io sarò con voi». Se ci pen- siamo, noi sappiamo essere molto generosi nelle nostre pro- messe, le quali spesso si fanno grandi come le nostre speranze o desideri, anche se non siamo padroni del nostro futuro. Pos- siamo però garantire che non scapperemo, che non ci tireremo fuori. E che cosa accadrà, si ve- drà strada facendo. MANDA UN ALTRO Le obiezioni di Mosè non si fer- mano qui. «Non conto niente» (3,11), «non mi crederanno» (4,1), «non so parlare» (4,10), fino a una frase che le nostre traduzioni, giustamente, ci restituiscono alla lettera, ma di cui rischiamo di perdere il senso profondo e l’im- provvisa reazione irritata di Dio. Quando, parlando in italiano, di- ciamo che Andrea esce da tre mesi con la stampella o esce da tre mesi con Lucia, non inten- diamo dire la stessa cosa: nel se- condo caso parliamo di una rela- zione profonda, di affetto reci- proco, quanto meno iniziale. Se sentiamo dire che una certa of- ferta è «per molti», capiamo che non è per tutti, anche se questo di per sé non è stato detto. Quando Mosè dice: «Signore, manda chi vuoi mandare» (4,13), a noi può sembrare una faticosa assunzione del proprio incarico (che Dio voglia mandare Mosè è chiaro, sta cercando di convin- cerlo da un quarto d’ora...). Ma nel modo di parlare ebraico quella frase sottintende «tranne me». Come se Mosè dicesse a Dio: «Mi hai convinto, il progetto è veramente affascinante. Ma non contare su di me. Trovati un altro, e sarà un successo». Ecco perché Dio perde un po’ la pa- zienza. Anche se non può costringere Mosè. Come con un amico che può anche spazientirsi, ma vuole la collaborazione, non può for- zarlo e non farà nulla senza di lui. QUALCHE INSEGNAMENTO Possiamo provare a tirare un po’ le fila di questa tappa, cogliendo anche che cosa possa voler dire a noi. L’inizio del libro dell’Esodo ci presenta un Dio che si sente coinvolto con l’umanità. Soprat- tutto con quella che soffre. Non è il motore immobile dei filosofi, che se ne sta nei cieli a guardare un po’ severo ciò che succede sulla terra. È piuttosto un padre che soffre per i suoi figli, finché non ce la fa più a resistere, e scende sull’Oreb. E non è un Dio che voglia agire senza gli uomini. Con Mosè insi- ste, discute, prova a convincere, si arrabbia... ma non si muoverà senza di lui. Il Dio della Bibbia prende totalmente sul serio l’uomo, non lo tratta da burat- tino. Se Mosè dicesse di no, sa- rebbe no. Ecco perché Dio si prende il fastidio di tentare di convincerlo, non può passare sopra alla sua libera scelta. La li- bertà dell’uomo per Dio è tanto sacra da non poter essere for- zata neppure da lui. Ecco perché è tanto grande e impegnativa la responsabilità umana. E, insieme, questa non è un’op- portunità riservata solo agli eletti, ai migliori, ai perfetti. Mosè ci può sembrare non migliore né peggiore della maggior parte de- gli esseri umani. Anche nel suo tentativo di non prendersi re- sponsabilità. Dio non chiama a grandi cose l’umanità perfetta: al limite, la rende indimenticabile, se solo inizia a fidarsi di lui. Cominciamo poi a cogliere le Un cammino di libertà 34 aprile 2021 MC modalità della relazione con questo Dio: non c’è una propo- sta da ponderare con la calcola- trice. La chiamata divina non è una proposta assicurativa. È piut- tosto un progetto di vita: come ogni progetto di vita (che sia un legame coniugale, una consa- crazione, una professione, una scelta di stile o di residenza...) ci sono degli elementi che lo ren- dono conoscibile, credibile, at- traente, ma alla fine se non si de- cide di fidarsene, di lasciargli spazio, di stare al gioco... non ac- cade. Se ci impegnassimo nella vita solo in ciò che si dimostra af- fidabile e garantito, non fa- remmo nulla. Come nelle amici- zie, anche nel rapporto con Dio l’unico modo di avere garanzie sulla credibilità della sua chia- mata, è ascoltarla. Ciò di cui ci fi- diamo, potrebbe tradirci, ma ciò di cui non ci fidiamo, non mo- strerà mai le sue potenzialità, siamo noi a tradirne la promessa. E Dio è promessa, è potenzialità, è slancio sul futuro, è relaziona- lità. Non è una definizione sta- tica, non è il difensore dell’or- dine, bensì della vita, che è di- sordinata, anche incoerente ma solare e piena di frutti. Per que- sto non può sopportare di rin- chiudersi in una definizione, che possiamo controllare e che ci dice tutto. Il Dio di Mosè è un Dio capace di sorprendere, di invi- tare a scommettere, a mettersi in gioco. Capace di pentirsi ma an- che di rilanciare, di ripartire. Non è il dio dei filosofi (o anche, a volte, del catechismo), racchiudi- bile in una griglia molto ben or- ganizzata, ma è il Dio dei profeti, degli artisti, di chi ama. E se è vero che viene incontro al biso- gno non espresso del suo po- polo promettendo intanto la libe- razione ma sapendo già che non basterà (allude al servizio che il popolo gli offrirà sul monte, Es 3,12, ma poi non se ne parlerà più finché non sarà ora), ciò che promette non è la programma- zione dettagliata di tutto quello che dovrà succedere, ma «solo» la garanzia che la relazione non verrà mai meno: «Io ci sarò». Angelo Fracchia (Esodo 03 - continua)

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