Missioni Consolata - Gennaio/Febbraio 2021

Da qui in senso orario: studentesse palestinesi scortate a scuola dall’esercito israeliano. | Bambina palesti nese ferita alla testa da un colono israeliano. | Demolizione di una casa palestinese nelle colline a Sud di Hebron. | Donna palestinese trattenuta da soldatesse israeliane durante una demolizione. * 22 gennaio-febbraio 2021 MC Secondo gli accordi di Oslo, la Cisgiordania è divisa in tre Aree denominate A, B, e C. In partico- lare, l’Area C, che copre circa il 61% dell’intero territorio della Ci- sgiordania, è sotto il controllo ci- vile e militare di Israele. Questo significa che i palestinesi non possono costruire nulla, se non con un permesso rilasciato dalle autorità israeliane, e che le loro terre possono essere confiscate. È proprio in merito a questi po- teri che nel 1999 la zona a Sud di Yatta è stata dichiarata area di addestramento militare ( Firing zone 918 ) dall’amministrazione israeliana. Tale dichiarazione ha portato al trasferimento forzato di tutti gli abitanti palestinesi vi- venti nell’area, circa 700 per- sone di dodici villaggi, che sono stati caricati su camion militari e portati altrove mentre le ruspe distruggevano le tende e le grotte in cui avevano vissuto. Dopo sei mesi, grazie a un pro- cedimento portato avanti da av- vocati israeliani, e in seguito a una decisione dell’alta corte di Giustizia israeliana, i palestinesi sono potuti tornare nei propri vil- laggi, senza però che vi fosse prima stato un formale smantel- lamento della zona di addestra- mento militare, che ancora oggi minaccia la vita degli abitanti. Oltre all’occupazione militare, è andata crescendo negli anni an- che quella civile, con le espan- sioni degli insediamenti israeliani e la nascita di nuovi avamposti, abitati da coloni nazional reli- giosi che, per mezzo di attacchi fisici anche molto violenti, impe- discono ai palestinesi gli sposta- menti e l’accesso alle proprie terre. Gli avamposti, come anche le colonie, sono peraltro consi- * PALESTINA derati illegali, non solo dal diritto internazionale ma perfino dallo stesso ordinamento israeliano. RESISTENZA NONVIOLENTA La scelta più semplice per i pale- stinesi delle colline a Sud di He- bron sarebbe potuta essere quella di lasciare le proprie terre per vivere una vita più sicura in città, oppure di abbandonarsi alla violenza - come talvolta ca- pita quando non si ha più spe- ranza nella vita -. Invece, questi semplici pastori e contadini, hanno deciso di restare e di lot- tare per difendere i propri diritti. Alcuni abitanti di At-Tuwani, al- lora, sotto la guida di uno di loro, Hafez Hureini, si sono uniti in un comitato popolare per trovare assieme il metodo più efficace per resistere alle ingiustizie. È nata così la loro resistenza po- polare nonviolenta. Si tratta di una forma di lotta dal basso in cui le famiglie e i vil- laggi si uniscono per difendere una terra che è di tutti, senza in- gerenze politiche, valorizzando il ruolo di ognuno, dalle donne, ai bambini, agli anziani. Quando un terreno è minacciato, è terra di tutti; quando un gio- vane viene arrestato, è il figlio o il fratello di tutti. La nonviolenza chiede ogni giorno di non guardare l’oppres- sore come un nemico, ma come un essere umano che sta sba- gliando. Chiede di denunciare con forza l’ingiustizia, senza odiare chi la compie. Lo scopo non è schiacciare l’al- tro, ma includerlo nella ricerca di una soluzione condivisa. L’obiettivo della lotta popolare è il riconoscimento dei palestinesi come esseri umani portatori di diritti umani inalienabili.

RkJQdWJsaXNoZXIy NTc1MjU=