Missioni Consolata - Gennaio/Febbraio 2021

Qui: un ragazzino nel carcere di Niamey. Come diversi coetanei, è accusato di far parte di Boko Haram. Il suo unico svago è la partitella di calcio. * pomeriggio lo psicologo del pe- nitenziario tira fuori dalla tasca il foglio con la lista dei più merite- voli, nel braccio dei sospetti Boko Haram cala un silenzio di tomba. Tutti si mettono sull’at- tenti nella speranza di sentire pronunciare il proprio nome. «A tutti i nostri giovani piace il calcio - dice lo psicologo -. Qui è l’unico sfogo che hanno. Du- rante la partita abbiamo modo di renderci conto di chi sono i ragazzi con i caratteri più vio- lenti. Una volta individuati, spiego loro che devono cam- biare atteggiamento. Non di- spongo di prove certe del fatto che ci siano membri di Boko Ha- ram. Sono mesi che attendono il processo e solo Allah sa quando avverrà. La mia opi- nione? Solo pochi di loro, vo- lenti o nolenti, hanno avuto con- tatti con i terroristi». I detenuti selezionati dallo psi- cologo si mettono in fila indiana per uscire dal recinto in cui mangiano, si lavano e dormono. Appena fuori, un secondino li fa sedere per terra per la conta. A fatica i ragazzi riescono a conte- nere l’entusiasmo che solo un pallone può dare. E non fa niente che le linee del campo siano fatte con delle pietre e che le porte siano arrugginite e senza reti. Giocare a piedi scalzi non è un problema. La situazione di questi detenuti, quasi tutti originari di Diffa, è molto delicata. Spesso non sanno neanche perché si tro- vino qui. La politica della «tolle- ranza zero» adottata dall’eser- cito e dalla polizia nigerini si è tramutata in continui arresti arbi- trari. «Sono nato e cresciuto in un villaggio vicino a Diffa. I miei genitori sono morti quando ero piccolo, non li ricordo. Facevo l’apprendista saldatore, ma di lavoro non ce n’era, così mi sono messo a vendere biscotti per strada». Hamidou ha quin- dici anni ed è rinchiuso a Nia- mey da un paio di mesi. «Una sera al villaggio sono arrivati dei soldati che si sono messi a per- quisire tutto e tutti. Indossavo una maglietta di colore verde militare che avevo trovato per strada. Mi hanno picchiato, ben- dato gli occhi e caricato su un furgone. Dopo alcune ore mi sono ritrovato nella prigione di Diffa. Poi mi hanno portato qua». Mamadou ha diciassette anni ed è nato nella regione di Borno, nel Nord Est della Nigeria. «Sono stato avvicinato diverse volte dai terroristi, volevano di- ventassi uno di loro. Un giorno mi dissero che per me avevano in mente una “missione sacra”. Volevano farmi esplodere all’ae- roporto di Diffa. Raccontai tutto alla mia famiglia e il giorno dopo scappammo in Niger». In «salvo» a Diffa, però, Mamadou ha commesso un grave errore: rivelare la sua storia ai nuovi vi- cini di casa. «Hanno spifferato tutto ai poliziotti e quelli mi hanno creduto uno di Boko Ha- ram. Mi hanno arrestato e con- dotto qui. Nessuno vuole dirmi che fine farò, non ho notizie dei miei genitori. Lo giuro, sono in- nocente». Si sta facendo buio e l’orario di visita è terminato. Alcuni ragaz- zini mi pregano di tornare con notizie fresche su Cristiano Ro- naldo e Messi. Rispondo loro che l’indomani dovrò fare ri- torno in Italia. Nessuno è sicuro di dove si trovi il nostro paese. «Ma lì si gioca a calcio?», ci chiede uno che indossa la ma- glia del Milan col numero 8 di Gattuso. Luca Salvatore Pistone * NIGER Sono stato avvicinato da terroristi. Volevano che diventassi uno di loro. 20 gennaio-febbraio 2021 MC A RCHIVIO MC • Marco Bello, Califfato made in Africa, MC 10/2016. • Marco Bello, Occidente proibito, nell’ambito del dossier Jihad Afri- cana, MC 11/2012. "

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