Missioni Consolata - Agosto/Settembre 2020

Ultima foto di p. Francesco Pavese, scattata a dicembre dell’anno scorso mentre si trovava in ospedale. * 79 agosto-settembre 2020 MC Sono stato ordinato sacerdote sessant’anni fa proprio qui, in questa chiesa. Sono missiona- rio della Consolata, e quindi formato nello spi- rito del beato Giuseppe Allamano. Il primo sentimento è un grande grazie perché il Signore mi ha chiamato: è un grande dono e io stesso sono sorpreso di essere stato scelto e di essere stato aiutato a non fuggire, a non an- dare da un’altra parte. E grazie, certamente per il sacerdozio. Per par- lare del sacerdozio ci vorrebbe una vita intera, ma mi limito a sottolineare le sue due princi- pali caratteristiche trasmesse a noi dal padre fondatore: è un sacerdozio eucaristico e ma- riano. Voglio poi ringraziare il Signore perché il mio sacerdozio è missionario. Non mi lega alla diocesi dove sono nato, ma è un sacerdozio aperto, libero: sono stato disponibile di andare da qualsiasi parte dove l’Istituto mi avrebbe mandato. Il nostro fondatore ci ha detto che dobbiamo essere degli apostoli zelanti, cioè avere l’ar- dore dentro. Le sue parole sono queste: «Ci vuole fuoco per essere apostoli», e io me le sono attaccate all’orecchio. A coloro che partivano l’Allamano lasciava tre ricordi e anch’io li ho messi nel mio cuore: 1. essere uomini di preghiera: se il missionario non prega non può convertire nessuno. 2. essere uomini di bontà, di mansuetudine, di cortesia: il missionario vuole bene alla gente, la aiuta e condivide la sua vita con essa. 3. essere uomini distaccati, liberi da se stessi, ma portatori di grandi ideali nel cuore. E ringrazio il Signore ancora perché sono sa- cerdote, missionario e religioso, appartengo cioè a un istituto, a una comunità religiosa che ha come caratteristica la vita e l’opera in co- mune, e i consigli evangelici di povertà, castità e obbedienza. E riguardo a questi ultimi il beato Allamano diceva: «Con i voti, non si dà al Signore solo il presente, ma il futuro», cioè tutta la vita, senza alcun limite. Il Papa diceva ai giovani: «Non andate in pen- sione troppo presto», e io lo dico di me stesso: ho dato al Signore il mio futuro; non c’è per me un tempo di pensione, finché le forze mi aiuteranno io devo continuare. Sessant’anni sono tanti, non sono più un gio- vanotto, ma finché avrò le forze cercherò di ti- rare avanti e voi aiutatemi con la vostra pre- ghiera perché non voglio morire «sfaccen- dato», ma sempre impegnato nell’opera del Signore. Questi sono gli ideali che ho coltivato e oggi lo dico al Signore, alla Consolata e al beato Alla- mano: «Ho passato la mia vita per voi, ho fatto meglio che ho potuto e quello che non ho fatto bene pensateci voi». A cura di Sergio Frassetto Non vogliomorire «sfaccendato» Il 28 giugno 2015, celebrando i sessant’anni della sua ordinazione sacerdotale, p. Francesco Pavese ringraziò il Signore, la Consolata e l’Allamano per il suo sacerdozio e concluse con il proposito di continuare l’opera del Signore fino alla fine della sua vita. Ecco quanto disse.

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