Missioni Consolata - Aprile 2020

così sistematico che, all’interno delle manifesta- zioni, ci sono anche ambulanti che vendono acqua e cibo, altri vendono mascherine per pro- teggersi dai gas. Altri ancora distribuiscono pezzi di cipolla cruda che, se respirati, dovrebbero alle- viare gli effetti dei lacrimogeni. Come si è arrivati a tutto questo? Quali sono le origini di tanta rabbia, chi sono i ragazzi degli ul- timi gruppi più violenti? Un maronita, uno sciita, un sunnita La scintilla che ha fatto scoppiare il caos è stata l’annuncio del governo di un aumento, programmato per marzo 2020, delle tasse su benzina, tabacco, internet e varie applicazioni social come WhatsApp. Questa notizia ha portato un numero mai visto di persone nelle piazze. Tutto quello che è acca- duto dal 17 ottobre in poi, è stato un crescere di malcontento e rabbia per una situazione sociale precaria, che in realtà va avanti da almeno un paio d’anni. Il Libano ha un’economia pressoché stagnante: altissimi tassi bancari, razionamento di acqua ed elettricità, un cambio teoricamente fisso con il dollaro (= 1.518,08 lire libanesi). Inoltre, il paese ha un tasso di disoccupazione che supera il 47%, e il terzo debito pubblico più alto al mondo: 151% del Pil a fine 2018. Come se tutto questo non bastasse, poco prima dell’annuncio sull’aumento delle tasse, una serie di incendi, molto probabilmente dolosi, ha scon- volto la zona dei parchi naturali con soccorsi ar- rivati in ritardo, mezzi antincendio ed elicotteri da milioni di dollari, rimasti fermi per mancanza di manutenzione. Questo evento ha mostrato, ulteriormente, l’incapacità dell’esecutivo ad agire in un momento di crisi. Il governo, insieme alle banche, è uno dei principali accusati per questa economia al collasso. Il governo libanese è settario, per l’articolo 24 B eirut. Erano cominciate pacificamente le proteste in Libano. Subito dopo l’an- nuncio del governo sull’incremento delle tasse, il 17 ottobre, un milione e 200mila persone erano scese nelle piazze di tutte le città principali del paese. Erano cominciate pacificamente, ma qualcosa, almeno nelle ultime settimane, è cambiato. Sulla strada che porta da Martyr Square, la piazza dei martiri, verso il Suq, la via principale dello shop- ping, la protesta ha preso una piega più rabbiosa e violenta: cancelli dei palazzi sradicati e usati come scudi contro la polizia, asfalto frantumato per poterne lanciare i pezzi, vetrine di negozi e banche distrutte. Ogni notte, dopo la fine delle proteste, strade e piazze somigliano a un campo di battaglia. Seguo l’evolversi delle manifestazioni dalla metà di dicembre. Da allora, nuovi gruppi di ragazzi si sono uniti alle proteste e il modo di contestare è cambiato nel tono e nell’intensità. In particolare, c’è stato un incremento del vandalismo dal fine settimana del 18 gennaio, da quella che è stata soprannominata «The Week of Rage», la setti- mana della rabbia. Insieme a donne, bambini e anziani, ci sono gruppi di ragazzi che costante- mente cercano lo scontro con le forze dell’ordine. Sassi, vasi di fiori, segnali stradali, estintori, qualsiasi cosa viene lanciata contro le forze del- l’ordine che rispondono con idranti, lacrimogeni e, ultimamente, con proiettili di gomma. Nel fine settimana del 25 di gennaio, diversi ragazzi hanno perso un occhio, proprio per l’uso di que- sti proiettili «non letali». Tutto si ripete in una specie di routine quotidiana con i cortei che si avvicinano e arretrano, a se- conda della risposta della polizia. È diventato ssier 38 aprile 2020 Nessuno tocchi WhatsApp LA PROTESTA LIBANESE La goccia è stata una tassa su WhatsApp, ma i problemi vengono da lontano. Un sistema politico confessionale, frammentato e corrotto e un’economia alla deriva (in bancarotta dal 9 marzo) hanno portato il Libano in piazza. di ANGELO CALIANNO A lato: manifestanti di fronte alla moschea di Amir Assaf, a Beirut.

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