Missioni Consolata - Dicembre 2019

52 MC DICEMBRE 2019 ItalIa petizione sana, possibilità di stare in un ambiente sentendosi a pro- prio agio. Non quegli ambienti che diventano nocivi e poco propedeu- tici alla crescita, alla formazione tecnica e umana di una persona, ma un ambiente che concorra a dare quegli strumenti che servi- ranno poi per la vita. Da questa premessa abbiamo costituito i vari settori per la formazione, dividen- doci i compiti. Io personalmente mi occupo di lavorare insieme ai tecnici, che abbiamo cercato di far crescere, permettendo loro di arri- vare al patentino che riconosce loro la possibilità di lavorare con dei giovani, e li mette nella condi- zione di sapere con chi stanno la- vorando e perché. Il profilo umano diventa per noi fondamentale, cerchiamo cioè quella capacità che ha una persona di donare se stessa in funzione della crescita di un’altra persona. È chiaro che le ambizioni personali in questo contesto devono essere esclusivamente orientate alla for- mazione del giovane calciatore. Dal punto di vista tecnico la scelta dei formatori è basata sulla capa- cità di riconoscere i vari passaggi delle categorie. Perché per ogni età ci sono obiettivi tecnico-tattici di formazione, ma anche obiettivi psicologici. Un giovane calciatore di 6 anni non è un giovane calcia- tore di 14 e se questo non è rico- nosciuto dal formatore si rischia di fare qualche pasticcio». Quali valori dovrebbe trasmet- tere l’allenatore-formatore? «Sono innanzitutto valori legati a una crescita individuale, ovvero portare progressivamente il gio- vane alla consapevolezza per quanto riguarda fare il calcio. Indi- pendentemente dal fatto che un ragazzino possa avere più abilità o possibilità di arrivare a settori gio- vanili professionistici, piuttosto che un giovane si riscopra a 20-25 anni a giocare esclusivamente per piacere con gli amici, l’addestra- mento tecnico deve essere uguale. Dal punto di vista tecnico-tattico la conoscenza di tutto ciò che serve per giocare a calcio, a partire dal dominio della palla, la consapevo- lezza degli spazi, dall’aspetto co- gnitivo di ciò che accade in una partita. Dal punto di vista della for- mazione umana, la capacità di rico- noscere che uno sport di squadra ti permette di capire che cosa signi- fica cooperare davvero con un compagno, al fine di raggiungere un obiettivo o un risultato co- mune. Ti permette di avere come banco di prova un ipotetico avver- sario, che cerca di impedirti di rag- giungere i tuoi obiettivi. Tutto que- sto si deve trasformare nella con- sapevolezza del giocatore che deve sapere cosa fare in campo, e rico- noscere le difficoltà che lo sport pone, nella capacità di non demor- dere mai, di continuare a perseve- rare anche quando non si riesce a raggiungere immediatamente qualcosa, perché non sempre si ot- tiene “tutto e subito”. Non ci sono scorciatoie, è un messaggio che deve essere chiaro. Il percorso di un giovane calciatore non bypassa tutto ciò che è l’aspetto formativo, bisogna conquistarsi tutto con grande fatica e dedizione. Allo stesso tempo però c’è anche la consapevolezza che cooperando in un sistema sociale, io ho delle responsabilità e chi lavora o gioca con me ha delle responsabilità. Ab- biamo dei diritti e dei doveri e tutto questo fa parte di quello che è lo spaccato della società». In questi ultimi dieci anni, hai vi- sto dei cambiamenti nei giovani, che oggi paiono sempre più le- gati agli strumenti elettronici e ai videogiochi, con il rischio di isolarsi? «Nella storia dell’uomo c’è stata un’evoluzione della comunica- zione, di noi stessi come persone, dovuta a molte conquiste, non solo individuali, ma della società. Inevitabilmente è cambiato anche il modo di comunicare con i nostri ragazzi. Io non so dire se l’utilizzo dei social e della tecnologia possa aver portato a un miglioramento o un peggioramento della persona, perché secondo me è presto per dirlo. Certo ha portato un cambia- mento sia nelle relazioni, sia nella capacità che oggi abbiamo di avere a disposizione tutto e subito. Inol- tre di sicuro arrivano molti più in- put rispetto a quelli che avevamo noi alla loro età. Bisognerebbe ca- pire, attraverso la psicologia del comportamento e l’evoluzione del- l’apprendimento, se effettiva- mente la tecnologia inibisca l’e- spressione e la creatività del per- corso formativo dei ragazzi. È fondamentale porsi delle do- mande: quanto sono utili questi strumenti, perché sono utili, come vanno usati? Non devono togliere al ragazzo la possibilità di espri- mere le proprie emozioni, metten- doci la faccia, attraverso un conti- nuo confronto con la persona che ha davanti. L’assenza di mimica facciale, della comunicazione non verbale, è una semplificazione, perché non gli fa provare delle emozioni, ma allo stesso tempo non impara a riconoscerle e a ge- stirle. Un cambiamento che ho notato, è che oggi i nostri ragazzi sono molto indaffarati, hanno molte attività, ricevono e subiscono molti stimoli. Sicuramente l’evoluzione del no- stro cervello non è stata così ve-

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