Missioni Consolata - Dicembre 2019

FAMIGLIE MISSIONARIE tante. Infatti, per il fatto di essere un’infermiera, a volte le persone vengono a chiedermi medicine o iniezioni… e questa cosa ci apre un mondo, perché le persone vengono e poi ti raccontano tutto di loro. Come dice una mia amica che vive anche lei in una canonica: “Noi facciamo la pastorale del caffè”. A volte la figura del sacerdote può dare un po’ di soggezione. Invece vedere una famiglia, che è una famiglia normale, perché ha i figli, fa casino, i bam- bini gridano, la mamma pure, fa sentire più a casa. Don Alberto dice che conosciamo le stesse fami- glie, ma da punti di vista diversi: i nostri figli vanno alle feste di compleanno, vanno a scuola… in tutte quelle parti della vita dove il don non può arrivare, noi possiamo». Tuo marito che lavoro fa? «Con degli amici, anche loro tornati dalla missione, ha fondato una cooperativa sociale di imbianchini e giardinieri, e gestiscono cinque isole ecologiche qua nei dintorni e in Brianza. Poi fanno un lavoro sociale con il reintegro nel lavoro di ex alcolizzati, ex drogati, persone bisognose. Lui dice sempre che non vuole fare un lavoro che lo separi dalla vita normale». In parrocchia che ruolo avete? «Non abbiamo cose precise. Facciamo incontri con genitori che chiedono il battesimo. Ognuno di noi ha un gruppo di lettura del Vangelo una volta ogni 15 giorni: cioè andiamo nelle case delle persone che si rendono disponibili. Io sono anche catechista e gestiamo l’oratorio feriale e le attività dei bam- bini, sempre con i due don e con le suore». Difficoltà e soddisfazioni? «La difficoltà è quella di avere pochi momenti di in- timità famigliare. A volte dici: “Ma basta! Questo campanello che suona in continuazione”. I bambini che avrebbero bisogno di attenzione, però devi dire loro di aspettare un attimo. A volte è una fatica. Usi energia togliendola alla famiglia. Ma alla fine ti dici: non è quella la cosa che mi rende più felice, pen- sare solo a me e alla mia famiglia. Alla fine, vivere così è una ricchezza». L.L. Collaboravate con la parrocchia? «C’erano due sacerdoti locali. Con loro avevamo anche dei momenti insieme, e una volta alla setti- mana uno veniva a celebrare la messa con noi e i ra- gazzi. C’era una strettissima collaborazione». Com’è stato il rientro per le vostre figlie? «Per loro l’Italia era un mondo sconosciuto e si sen- tono ancora peruviane. Rimpiangono spesso la vita semplice del Perù. Però quando abbiamo spiegato loro che avremmo mantenuto alcune caratteristiche della vita peruviana, che saremmo venuti a vivere in una parrocchia, hanno accettato bene». Avevate già un posto dove andare? «Sì, avevamo sentito l’ufficio missionario della dio- cesi di Milano. Inizialmente avevamo chiesto di an- dare in un paese e non in città, perché le nostre figlie in Perù avevano vissuto una vita molto sem- plice e volevamo conservare questo aspetto. Ci è stato proposto Bulciago, in Brianza, e quando siamo tornati nel 2014 siamo andati direttamente lì, in ca- nonica, per tre anni. Nel frattempo è tornato dal Perù don Alberto Bruzzolo che ha sempre chiesto, sia in Italia che in Perù, la collaborazione di una fa- miglia vivendoci insieme. In diocesi è stato il primo a provare questa esperienza fin dal 2001 a Penteco- ste. Quando è arrivato, conoscendoci già, ci ha chie- sto di fare fraternità con lui. Allora nel 2017 ci siamo spostati qui a Ponte Lambro, in un contesto di peri- feria urbana totalmente diverso. Noi diciamo sem- pre alle nostre figlie che non importa dove si vive, importa come uno vuole spendere la sua vita: che sia con i ragazzi peruviani, in Brianza, o in città. Ne abbiamo parlato molto, e alla fine loro hanno detto che sì, l’importante è aiutare gli altri. Qui c’è un centro d’ascolto della san Vincenzo che segue 150 famiglie. Vengono distribuiti vestiti, me- dicine… Anche qui i miei figli vedono la povertà». Com’è la vita di fraternità? «Viviamo in fraternità missionaria con don Alberto, che è parroco, e con don Emanuele Merlo, che segue la pastorale dei Rom. Siamo in una casa di due piani dentro l’oratorio: al piano terra ci siamo noi, e al piano superiore i due don. In un’altra strut- tura ci sono tre suore Marcelline. Anche loro hanno chiesto di lavorare nella periferia. Abitando nella stessa casa, diciamo le lodi al mat- tino insieme, poi facciamo colazione per raccontarci un po’ di cose. E poi la domenica sera facciamo la compieta e un commento di un brano biblico. Nella vita quotidiana, poi, ci sono pranzi, cene. Così come vengono. Avendo la porta sempre aperta è fa- cile che succeda». Lavorate? «Mio marito sì. Io no. È stata una scelta per colti- vare l’accoglienza. La mia presenza in casa è impor- Sopra : due immagini della missione peruviana vissuta dalla fami- glia Radaelli tra il 2004 e il 2014. | Qui : Marco e Maida con i loro cinque figli nella canonica nella quale vivono attualmente. D © Marco Radaelli

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