Missioni Consolata - Ottobre 2019

capitali e delle merci. Ma gradata- mente tutto questo è cambiato: il mercato si è saturato, il neoliberi- smo ha tarpato le ali agli stati, merci e capitali hanno avuto li- cenza di muoversi in piena libertà a livello mondiale. Le imprese, in- somma, hanno assunto il mondo intero come territorio di riferi- mento anche da un punto di vista produttivo e tutte le carte hanno cominciato a rimescolarsi. Disoccupati al Nord, sfruttati al Sud Con la globalizzazione, miliardi di persone mantenute in povertà da cinquecento anni di colonialismo, sono state riscoperte dal sistema delle imprese, non come consu- matori, ma come lavoratori a buon mercato. E l’intera geogra- fia internazionale del lavoro è stata ridisegnata. Marchi storici con una solida filiera produttiva nei paesi in cui erano nati, hanno scoperto che è più conveniente sbarazzarsi della produzione che mantenerla. La soluzione è appal- tarla a terzisti esterni reperiti ora in Corea del Sud, ora in Cina, ora in Bangladesh, in base alle condi- zioni offerte. Così il mondo delle imprese si è ristrutturato e la pro- duzione frantumata, internazio- nalizzata, deflagrata: un pezzo qua, un pezzo là; un anno qui, un anno là: sempre in movimento a seconda dei calcoli di conve- nienza. Il risultato è più lavoro sfruttato al Sud e meno lavoro garantito al Nord. Ovunque più concorrenza fra lavoratori dispo- sti a ridurre i propri salari e i pro- pri diritti pur di ottenere un posto di lavoro. E i risultati si vedono: nei paesi più ricchi, fra il 1975 e il 2011, la quota di reddito nazio- nale andata ai salari è diminuita mediamente del 10%, passando dal 67% al 56%. In Italia, la dimi- nuzione è stata addirittura dell’11,8%, contro il 6,2% della Francia e il 4,2% del Giappone. Una perdita a tutto vantaggio dei profitti che sono cresciuti specu- larmente. Poi gli immigrati Anche l’immigrazione è usata per alimentare la discesa dei salari e dei diritti. Ma al contrario di Il capitalismo può essere raccon- tato come la storia di un sistema che si è organizzato per creare di- soccupazione e assicurarsi costan- temente lavoro a buon mercato. Ai primordi della rivoluzione indu- striale l’esercito di riserva venne creato - lo abbiamo ricordato - con la privatizzazione delle terre co- muni. In seguito il pezzo forte è stata la tecnologia: l’introduzione di macchine sempre più veloci ed autosufficienti capaci di sostituirsi ai lavoratori. Un processo che si è intensificato con l’avvento del- l’informatica come mostra l’avan- zata dei robot e dell’intelligenza artificiale in ogni ambito del vivere industriale e umano. Nessuno sa ancora quanti posti di lavoro ver- ranno distrutti dalla robotizza- zione. Qualcuno sostiene che alla fine sarà un’operazione a somma zero: da una parte si perderanno posti, ma dall’altra se ne cree- ranno. A rimetterci saranno le mansioni meno qualificate mentre crescerà la richiesta di ingegneri, matematici, programmatori. Un ottimismo confortato dalla consta- tazione che, in passato, nono- stante l’introduzione delle mac- chine, alla fine l’occupazione ha tenuto. Ma il contesto era diverso. Per cominciare c’era un’Europa da ricostruire e molta strada da fare sul piano dei consumi. Inoltre c’e- rano governi molto interventisti che attivavano tutti gli strumenti a propria disposizione per stimolare gli investimenti. E per finire le im- prese erano molto più legate ai propri territori perché c’erano re- gole assai più stringenti rispetto alla circolazione internazionale dei quello che si potrebbe pensare, non è l’apertura a favorire lo sfruttamento, bensì la chiusura. Più si chiudono le frontiere, più si creano ostacoli al rilascio dei per- messi di soggiorno, più cresce l’immigrazione clandestina e irre- golare che va a finire tutta fra le braccia dell’economia in nero e criminale. In Italia la politica degli ultimi governi, che ha ridotto l’ac- coglienza, ha abolito i permessi di soggiorno per motivi umanitari, ha reso più difficile il riconosci- mento dello status di rifugiato, ha prodotto 650mila irregolari. Un esercito di braccati che non po- tendo svolgere un lavoro regolare finisce inevitabilmente fra le grin- fie dei caporali che usano l’arma del ricatto per portali nei campi e nei cantieri edili a lavorare per due euro l’ora. L’occupazione è citata da tutte le forze politiche come una priorità. Ma spesso è solo strumentaliz- zata per giustificare investimenti pubblici inutili e dispendiosi, o per avallare attività private so- cialmente inaccettabili e ambien- talmente dannose. E si può par- lare di strumentalizzazione per- ché nel contempo si rendono complici della costruzione di un ordine economico che dà sempre più potere ai mercanti. Che è come affidare il servizio antin- cendio ai piromani. La via d’u- scita si può ottenere solo co- struendo un altro potere econo- mico, di tipo pubblico, parallelo a quello dei mercanti. Oggi i mer- canti si sentono onnipotenti per- ché sanno di possedere il mono- polio della produzione e del la- voro. Ma quando si renderanno conto di non essere più così de- terminanti, perché la gente trova altrove la soluzione ai propri pro- blemi, allora verranno a più miti consigli. Spesso per spengere gli incendi si usano i controfuochi in modo da creare delle aree prive di vegetazione che impediscono alle fiamme di avanzare. Do- vremo adottare la stessa strate- gia anche in ambito economico, per impedire al fuoco mercantili- sta di divorarsi tutto. Francesco Gesualdi (prima parte - continua) OTTOBRE 2019 MC 63 • Lavoro | Capitale | Salariati | Disoccupazione • R MC

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