Missioni Consolata - Luglio 2019

38 MC LUGLIO 2019 D D LA STORIA DI WILSON, FRANCISCO, SABINA N ell’aprile del 2018, il governo degli Stati Uniti dichiarò di voler applicare una poli- tica di tolleranza zero e perseguire penal- mente tutti i migranti entrati senza docu- menti in territorio statunitense. Le separazioni delle famiglie, catturate mentre pro- vavano a superare la frontiera, sono state una delle conseguenze più dure dell’applicazione della poli- tica di contenimento della migrazione considerata illegale. La pratica prevedeva che i genitori, in quanto maggiorenni, fossero trasferiti in carcere in attesa del processo. I bambini, invece, erano inviati in centri appositi per minori. «Q uando mi hanno strappato dalle brac- cia mio figlio Wilson di 7 anni, gli agenti della polizia di frontiera non mi hanno neppure detto dove lo avrebbero portato - ricorda Francisco Raymundo Bernal, giovane papà guate- malteco -. Wilson piangeva e anche io, ma in pochi minuti è scomparso dalla mia vista e io non sapevo cosa fare. La polizia mi diceva di stare zitto, perché mio figlio sarebbe stato bene, mentre io sarei an- dato in prigione». La storia di Francisco e Wilson è simile a quelle di altre famiglie centroamericane, che a partire da aprile 2018 hanno vissuto sulla pro- pria pelle una delle conseguenze più dolorose della politica di tolleranza zero. «Da aprile a settembre 2018, 6mila unità famigliari sono state separate in frontiera - spiega Carolina Ji- menez di Amnesty International Las Americas -. Si tratta di tortura vera e propria che ha generato dei traumi insostenibili per i genitori e per i minori. E se per separare le famiglie è bastata una manciata di minuti, per poterle riunificare, invece, sono serviti mesi». I l 20 giugno 2018, il presidente Donald Trump, sotto la pressione della comunità internazionale e di alcuni democratici del Congresso Usa, ha re- vocato la pratica di separazione delle famiglie con un ordine esecutivo, tuttavia, la procedura ha con- tinuato a esistere fino a marzo 2019. La riunifica- zione delle famiglie è stata un procedimento com- plicato, perché il numero delle persone coinvolte era molto alto e la separazione è avvenuta in ma- niera frettolosa, aspetto che ha reso molto difficile dimostrare, successivamente, le parentele. «Ho potuto parlare con mio figlio dopo tre setti- mane che ci avevano separato - spiega Francisco, il padre di Wilson -. Ero in carcere e mi stavano pro- cessando per poi deportarmi. Io volevo che mi ri- mandassero in Guatemala con mio figlio, ma non è stato così. Lui è ritornato a casa molto dopo di me». Per poter riunificare le famiglie, le autorità migrato- rie statunitensi richiedono ai famigliari tutti i docu- menti anagrafici necessari per dimostrare la pater- nità. La madre di Wilson, che si trovava in Guate- mala, ha dovuto cercare documenti non facili da re- perire nel villaggio di cui sono originari. Le pratiche anagrafiche hanno un alto costo, aspetto che ha reso ancora più complicata e lunga la riunificazione. «H o fatto di tutto per riavere mio figlio tra le mie braccia - spiega Sabina Brito, la mamma di Wilson -. Ho mandato negli Stati Uniti diversi documenti, ma ci sono voluti 5 mesi prima di poter rivedere Wilson che è rimasto da solo per tutto quel tempo». Wilson ha vissuto da settembre 2017 a fine gennaio 2018 in un centro per minori in Michigan. I genitori di Wilson, che avevano pensato di migrare in due gruppi, prima il papà con il bambino e, in una se- conda fase, la mamma con la secondogenita, hanno saputo del luogo in cui è stato tenuto in custodia Wilson quasi un mese dopo la separazione. Oggi Wilson vive in Guatemala con i suoi genitori, che stanno provando a ricrearsi una vita nel loro villaggio. «La ferita di questa vicenda non si può ri- marginare - spiega Francisco -. Ora stiamo pro- vando a sopravvivere qui, ma il lavoro è poco e malpagato. Non torneremo negli Stati Uniti, ma spesso pensiamo di migrare in Europa o, chissà, in Canada, perché qui non riusciamo a guadagnare sufficientemente per far studiare i nostri figli». S.C.

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