Missioni Consolata - Giugno 2019

68 MC GIUGNO2019 Samburu, incollato sulla collina, vicino al letto di un fiume che da tempo non conosce acqua. In questo villaggio vivono più o meno 30/40 famiglie, isolate dal resto del mondo. Arriviamo e l’accoglienza è subito una festa, soprattutto da parte dei bambini e delle donne; gli uo- mini rimangono in disparte sotto un albero a dialogare tra loro, come se niente fosse. Anche la mia cappella è un albero molto grande e ombroso che lascia pas- sare una dolce arietta che rinfre- sca l’ambiente, e ce n’è bisogno. La partecipazione è sentita e at- tenta, le mamme devono seguire la messa e le parole del padre (in kiswahili, con cui avevo già dime- stichezza in Congo), e allo stesso tempo devono accudire il bam- bino che portano in braccio e quello più grande, che gli scor- razza attorno. È proprio vero qui è tutto in mano alle donne. Po- vera Africa senza le donne. In una parte del villaggio scorgo un movimento particolare, curio- samente vado a guardare e trovo una festa per la casa nuova che una famiglia sta preparando. Al- cune donne stanno conficcando i pali per la manyatta, altre traspor- tano materiale, gli uomini all’om- bra stanno guardando dopo aver terminato la festa di benedizione per la nuova casa e bevuto alla faccia… del malocchio, ma anche delle donne! Terminata la messa e la visita al villaggio con il cate- chista, una sua bambina, un gio- vane e una mamma anziana, ini- ziamo a piedi la via del rientro per arrivare alla via principale e ritro- varci con padre Matthew che dopo averci lasciato ha proseguito per altri due villaggi più lontani. Percorriamo il tratto di diversi chi- lometri e alla fine stanchi ma con- tenti ci ritroviamo con il padre per fare ritorno alla missione già a notte avanzata. Appena arrivato, via di corsa alla cappella Huruma, situata alla pe- riferia Sud della cittadina di Bara- goi, in una zona abitata prevalen- temente da Turkana, dove un bel gruppo di cristiani ci sta aspet- tando per la veglia pasquale. Ter- mino stremato, senza forza né voce, ma contento di aver potuto servire il Signore in questo angolo dimenticato di mondo, dove non solo il calore è un problema, ma soprattutto la mancanza d’acqua. Sono ormai le 23.30 passate, mi siedo in casa, bevo quasi un litro d’acqua contento di aver passato una Pasqua speciale, con della gente semplice e senza troppe pretese, dove tutto è dono da ac- cogliere e da celebrare, anche la fatica di vivere. Domenica di Pasqua Arriviamo così alla domenica di Pasqua. Di primo mattino arriva il mio accompagnatore per rag- giungere due centri, relativa- mente vicini alla missione, preci- samente Logetei e Nachola. La prima comunità è quella di Na- chola, gente buona e accogliente. Un centro situato su una colli- netta da dove si può dominare tutta la valle. Una valle dai con- torni infiniti, con una bellezza sur- reale perché ti dà l’impressione di essere fuori dal mondo, proiet- tato quasi sulla luna. La cappella è bella e bene areata, uno spetta- colo poter celebrare animati dai canti e dalla partecipazione attiva della gente. Terminiamo can- tando e lodando Iddio per questa nuova Pasqua che ci fa vivere. A Logetei, la cappella è più antica e caldissima. Qui ci sono una qua- rantina di adulti e giovani che sono pronti per ricevere il batte- simo e la cresima. Siamo già arri- vati alle ore 11.30 circa, il sole è forte su nel cielo, e la cerimonia inizia con canti e festa grande. I giovani sfilano vicino all’altare esibendo i loro nomi da cristiani, consapevoli del grande passo che stanno facendo. Terminiamo la celebrazione e stanchi e contenti ci avviamo verso casa, con la gioia dell’operaio che anche oggi qual- che cosa ha potuto realizzare per la gloria del Suo nome. Qualche riflessione Pensando alla Pasqua e alla tradi- zione degli auguri, vivendo quest’anno il triduo con queste persone semplici ho pensato che poteva essere l’occasione per tentare di «essere auguri» più che pensare di «fare gli auguri»! Anziché fare gli auguri, essere au- guri, farsi augurio per gli altri, non chiedendo cosa mi possono do- nare, ma impegnandosi a portare qualcosa per rendere la Pasqua e la vita più bella, più umana. Come insegna il Nuovo Testamento, per il quale la felicità non è un’utopia, ma una possibilità concreta alla portata di tutti. Infatti, la felicità per Gesù, non consiste in quel che si riceve, ma in quel che si è capaci di donare: «Si è più beati nel dare che nel ricevere» (At 20,35). Se la felicità dipende da quel che si riceve, si rischia di consumare l’esistenza sempre amareggiati, perché gli altri non hanno saputo rispondere ai biso- gni, ai desideri per i quali si è at- teso invano una risposta. Ma se la felicità consiste invece in quel che si dona, questa può essere possi- bile, immediata e piena; anzi, più si dà e più si è felici, perché il Pa- dre non si lascia vincere in gene- rosità, e regala vita a chi dona amore: «Con la misura con la quale misurate sarà misurato a KENYA

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