Missioni Consolata - Giugno 2019

MC A i bambini piccoli. La domenica ci sono una cinquantina di persone a messa. Le celebrazioni qui sono fatte con il rito orientale, perché Modjo è sotto la diocesi di Addis Abeba, mentre pochi chilometri più in là, a Meki, c’è il rito latino». Come sono le relazioni con i musulmani? «Le persone non hanno nessun problema. La convivenza è buona. I musulmani sono gentili: c’è un negoziante in città che mi fa sempre lo sconto. Vicino alla missione vive una famiglia della quale sono molto amico. La mamma è originaria di Gambo, ha tre bambini ed è moglie di un musulmano. Qualcuno della sua famiglia è cristiano. Qualche volta vado a prendere il caffè da loro. Quello tradizionale ci vuole un’ora per prepararlo: prendono i grani, li lavano, li abbrustoli- scono, poi li pestano nel mortaio e intanto fanno bollire l’acqua. Due o tre amiche della signora, che incontro quando vado da lei, hanno tutte la croce appesa al collo. Sono ortodosse e non hanno problemi a indossarla. Stanno assieme, chiacchierano, si aiutano». Che lingua si parla a Modjo? «In Etiopia si parlano ottanta lin- gue. In città da noi sanno tutti l’a- marico, però molti sono Oromo. In campagna la maggioranza sono Oromo. Gli Amara sono orto- dossi. Gli Oromo dell’Ovest, in- vece, sono per lo più protestanti. Mentre gli Oromo dell’Est sono per la gran parte musulmani. C’è un problema politico che ri- guarda gli Oromo, ci sono quelli che vogliono l’indipendenza da Addis Abeba, quelli che vedono male il programma di sviluppo del governo che fa molti contratti con la Cina». Si sente il problema dell’emi- grazione in Etiopia? «In Etiopia i giovani hanno come obiettivo di andare all’estero, ne- gli Usa specialmente, anche per- ché durante il marxismo gli Usa facilitavano gli esuli. Oggi molti hanno parenti negli Usa o in Ca- nada. Altri emigrano nella penisola ara- bica e in Libano. In particolare ra- gazze che vanno a fare le collabo- ratrici domestiche. C’è un’organizzazione che pro- cura l’alloggio e paga il viaggio. Le donne restituiscono l’anticipo ri- cevuto con i primi stipendi presi nel paese. Conosco una ragazza, mamma di due bambini, che è di Gambo e ora sta a Beirut. Lavora in una famiglia cristiana. I bam- bini e il marito sono a Gambo, e lei manda aiuti». Qual è l’aspetto che ti piace di più del popolo Etiope? «A Modjo ero andato a una festa patronale di una chiesa ortodossa in una zona di campagna. La chiesa è bella, su una collina. Cento metri più in basso ci sono grotte scavate nel tufo dove vi- vono dei monaci. A quella festa vanno migliaia di persone. Quando sono arrivato a sei chilo- metri di distanza, ho iniziato a ve- dere la strada piena di auto par- cheggiate. Allora ho lasciato lì l’auto e ho fatto un’ora e mezza di strada a piedi. C’era con me un ragazzino, sua cugina di nome Marta e un’altra ragazzina, Ghen- net. Avevano 12 anni. Quando siamo arrivati alle grotte dei mo- naci, lì c’erano dei ragazzi che raccoglievano la sabbia perché consideravano quella come terra benedetta. Al ritorno, i ragazzi erano stanchi e io non ricordavo neppure bene dove fosse l’auto. A un certo punto il ragazzo è andato avanti a cercare acqua perché sentiva sete. Dopo un altro po’, a causa della folla, ho perso di vista Marta. Siamo rimasti solo io e Ghennet. Quando siamo arrivati alla macchina, Marta non c’era. Ero in ansia per lei. Dopo un po’, una coppia si è avvicinata e mi ha detto: “La ragazzina sta arri- vando”. Io non li conoscevo. Non erano neppure di Modjo. Però mi hanno visto lì ad aspettare e hanno capito. Ecco. Gli etiopici sono così, sono gentili. È gente aperta». C’è un brano biblico che ti ac- compagna in modo particolare nella tua missione? «Mi piacciono i Salmi. In partico- lare il 63: “O Dio, tu sei il mio Dio, / all’aurora ti cerco, / di te ha sete l’anima mia, / a te anela la mia carne, / come terra deserta, / arida, senz’acqua. Così nel santuario ti ho cercato, / per contemplare la tua potenza e la tua gloria. Poiché la tua grazia vale più della vita, / le mie labbra diranno la tua lode. Così ti benedirò finché io viva, / nel tuo nome alzerò le mie mani”». Luca Lorusso © AfMC_Domenico Brusa

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