Missioni Consolata - Giugno 2019

GIUGNO2019 MC 23 • Semplicità | Istruzione | Fratelli missionari | Amicizia • MC A ben attrezzata. Lì ho incontrato i fratelli della Consolata. Erano cin- que. Mi sono trovato bene con loro, ed è stato lì che mi è venuta la vocazione. “Perché non essere anche io fratello? Facciamo lo stesso lavoro, stessa vita, stesso orario”. Il postulato l’ho fatto a Sagana mentre insegnavo. Per il noviziato sono tornato in Italia, un anno alla Certosa di Pesio con padre Peyron alla fine degli anni ‘70, e poi un anno a Bedizzole. Dopo questi due anni sono tor- nato a Sagana per un altro anno». Nel 1981, hai ricevuto la nuova destinazione in Etiopia. «L’Etiopia è un paese molto di- verso dal Kenya, la vita è più sem- plice. Anche lì insegnavo in una scuola tecnica a Meki, e poi prov- vedevo i materiali per la falegna- meria. Caricavo fino a 7 quintali di legna sul camioncino. Facevo 100 km con le ruote davanti che rimanevano quasi sollevate». Poi sei tornato in Kenya per un altro breve periodo. «Quando abbiamo ceduto Meki alla diocesi, alla fine del 1988 sono tornato in Kenya per tre anni. C’erano alcuni fratelli ke- nioti a Langata che si specializza- vano in qualche mestiere». E quando sei tornato in Etiopia, dove sei stato? «Nel 1992 sono stato ad Addis Abeba e poi ad Asella, nella casa “etsanat masaderia”, la casa dei bambini: c’erano orfani e alcuni handicappati. Era un bel gruppo. Dopo Asella sono stato a Gambo per tre anni, fino al 1997. Anche lì facevo commissioni varie e mi in- teressavo un po’ della scuola, an- che se non insegnavo più. Gambo è vicino alla foresta, è un posto isolato. Per cercare libri per la scuola facevo quasi 40 km. Dopo Gambo, sono stato ad Ad- dis Abeba per 13 anni, al nostro seminario di filosofia e nella pro- cura della casa regionale». È il periodo in cui correvi con i ragazzi del campo dei rifugiati? «Sì, mi è piaciuto quel periodo». E dopo Addis Abeba, sei arri- vato a Modjo. «Sì, nel 2010. Modjo è una citta- dina di 50mila abitanti dove si re- spira aria di campagna. Nella strada davanti alla missione ve- diamo passare quasi solo calessi tirati da cavalli. Sono un po’ sgan- gherati, ma quelli sono i taxi. Le case sono ancora tradizionali: casette a un solo piano con un pezzetto di terreno davanti. Vicino a Modjo c’è la “città dei container” che arrivano da Gibuti. C’è la dogana, quindi ci sono cen- tinaia di container fermi. Di lì passa l’autostrada che va da Ad- dis a Nazareth (Adama in Oromo). Una grossa città a 20 km da noi». Com’è la comunità di Modjo? «I cattolici sono pochi: alcune fa- miglie. Poi ci sono ragazzini ado- lescenti ortodossi che ci frequen- tano. La chiesa è una bella strut- tura costruita da padre Zordan. Il cardinale ha voluto che diven- tasse anche un santuario dedi- cato alla Consolata. Quando sono arrivato a Modjo c’era ancora il seminario minore. L’ultimo anno di secondaria. Lì fa- cevo un po’ di ripetizioni la sera. Adesso il seminario è stato ria- perto dopo un periodo di chiu- sura. Io faccio l’economo della missione. Dopo una vita, non la- voro più con le scuole». Com’è l’economia della città? «Fuori dalla città ci sono cinque fabbriche di pellami, di solito ge- stite da indiani o pachistani. Ci la- vorano molti giovani. Altra atti- vità molto diffusa è il commercio: il mercato, i negozietti. Altro im- piego è quello della dogana. Poi a Modjo ci sono almeno cinque banche e molti distributori di die- sel e benzina perché la città è un © AfMC_Domenico Brusa

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