Missioni Consolata - Gennaio / Febbraio 2019

GENNAIO-FEBBRAIO2019 MC 77 AL PAESE I l primo fatto tocca la sua vocazione al sa- cerdozio a proposito della quale l'Alla- mano seppe dare la giusta importanza ad un dettaglio della sua infanzia. Un giorno, il parroco e il sindaco del paese capitarono a casa sua a visitare la mamma. Avendolo vi- sto lì in cucina, piuttosto timido, domanda- rono alla mamma: «Che cosa facciamo di questo ragazzo?». La rispo- sta di quella saggia donna dimostra che conosceva di quale stoffa era fatto il fi- glio: «Gli lascio fare quello che vorrà», rispose. Il par- roco, che stimava il ragazzo, non si accontentò: «Non lo sprechi; lo faccia studiare». Un fatto così semplice po- teva passare inosservato, ma non per l’Allamano, che fin da ragazzo sapeva ren- dersi conto della presenza di Dio nella propria vita. Ecco il suo commento, con- fidato anni dopo ad un suo missionario: «Se non fos- sero passati da casa mia il sindaco e il parroco, forse non avrei seguito la voca- zione». Sembra che abbia voluto dire: «È stata la Provvidenza a mandarli a casa mia proprio quel giorno, quando io ero in cucina con la mamma, che così fu convinta e mi mandò a studiare a Valdocco da Don Bosco». Un secondo fatterello riguarda il suo rap- porto proprio con la mamma, quella «santa donna», come lui la chiamava, alla quale era molto legato, particolarmente durante gli anni di una lunga malattia che la portò alla cecità e alla totale sordità. La mamma era la sorella di Giuseppe Cafasso, morto in con- cetto di santità. Per ottenere la guarigione, sicuramente il figlio, affezionato, l’avrà rac- comandata all’intercessione dello zio. Rife- rendosi poi al fatto che non era stata guarita, pur essendo sorella, si accontentò di questo bonario commento confidato ad una suora missionaria: «I Santi non fanno le grazie ai parenti». Né perse la sua fiducia nel Cafasso, del quale curò la causa presso la Santa Sede fino alla beatificazione. Il terzo fatto riguarda la sua presenza a Castelnuovo. Dopo l’ordinazione, si recò al paese sempre più rara- mente. Quando il cognato Giovanni Marchisio si am- malò, andò a trovarlo, ma senza dilungarsi troppo. Lo raccontò così: «Sono stato a trovare mio cognato; mi fermai poche ore; alle due ero ancora a Torino, alle sette avevo già finito il viag- gio. Da ben quindici anni non ero più stato a Castel- nuovo». Un ultimo episodio piutto- sto curioso. Al sacerdote don Pagliotti, suo penitente, saputo che de- dicava la nuova chiesa parrocchiale in To- rino a S. Agnese, espresse la sua soddisfa- zione aggiungendo questa confidenza: «I miei genitori avevano già deciso, prima della mia nascita, di pormi il nome di Agnese… se fosse nata una bambina. E poiché nacqui proprio il giorno di S. Agnese [21 gennaio 1851], mia madre mi instillava gran devo- zione a questa cara martire, e alla sua prote- zione ho pure riposto l'esito del gran passo dell'istituzione delle Missioni della Conso- lata». P. Francesco Pavese Il primo tema che propongo riguarda Castelnuovo, suo paese natale, oggi detto il paese dei santi (Giuseppe Cafasso, Giovanni Bosco, Giuseppe Allamano). Sono quattro fatterelli che dimostrano la sua semplicità umana e la sua ricchezza interiore. # Marianna Cafasso, mamma di Giuseppe Allamano.

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