Missioni Consolata - Gennaio / Febbraio 2019

GENNAIO-FEBBRAIO2019 MC 23 fronto con qualcuno che sappia aiutare, e anche la condivisione con chi ha dei vissuti simili. L’esperienza del seminario «dalle tenebre alla luce» mette in rilievo proprio queste due dimensioni, aggiungendo, per i credenti, quella spirituale. «È un percorso sul lutto, nel quale ci si prende cura del bambino che non è nato», spiega Benedetta. Nei seminari, organizzati ogni volta in una città diversa, è con- densato tutto ciò che nel suo la- voro quotidiano Benedetta pro- pone con approccio laico ai sin- goli genitori in lutto, associando a esso l’aspetto religioso. Nel seminario i genitori vivono quattro passaggi fondamentali: possono parlare dell’accaduto in un clima di ascolto privo di giudi- zio; lasciano emergere sentimenti che a volte loro stessi negavano; vivono un incontro simbolico con il figlio attraverso un oggetto, una lettera scritta e l’uso guidato dell’immaginazione; dopo aver recuperato l’identità del figlio, gli dicono addio, lo lasciano andare. Don Panizzo racconta: «Si comin- cia con l’accoglienza e il racconto vicendevole. L’obiettivo è di aiu- tare i genitori a ristabilire un rap- porto con i loro figli, un rapporto che da un lato è interrotto, ma dall’altro è continuamente pre- sente come un’esperienza trau- matica. Benedetta chiede alle persone di portare un oggetto: un ciuccio, un pupazzetto, nel quale identificare la creatura che non c’è più. Questo oggetto viene ma- nipolato, tenuto in mano per tutto il percorso, in modo che il contatto fisico crei un rapporto. A un certo punto si dà un nome al bambino e gli si scrive una let- tera. Una lettera di addio, di ri- cordo, di espressione di affetto. Il momento in cui si ristabilisce un contatto con il bambino è molto delicato e doloroso. Poi Bene- detta chiede ai genitori di figu- rarsi un incontro con lui. Il figlio può essere immaginato nel luogo che preferiscono, può avere qual- siasi età. A volte ha 5 anni, altre volte è un giovane. Spesso l’età corrisponde a quella che avrebbe se fosse vivo. I genitori sono chia- mati a immaginare l’incontro con il figlio, e poi anche la sua morte. Questo perché rivivano la perdita nel momento presente, in un contesto comunitario, di acco- MC A tura”, qualcuno se ne occupa, ad esempio facendo dire una messa e pregando per lui, qualcun altro invece va in depressione, si am- mala, non riesce più a reagire. Ho in mente una signora che ha perso il bambino il giorno prima di partorire. Io l’ho incontrata dieci anni dopo. Nel frattempo era entrata e uscita da ospedali psichiatrici e aveva, di fatto, ab- bandonato la prima figlia per ge- stire il lutto del secondo». «L’esperienza ci fa dire che il do- lore non lo si può ignorare - ag- giunge don Roberto -, non si può evitare facendo finta di niente. L’unico modo per superarlo è quello di renderlo presente con una lettura positiva, e qui la fede ci aiuta, perché Cristo ha assunto su di sé la sofferenza. Non ti dà una spiegazione, però condivide con te il cammino. Puoi affron- tare il dolore cercando non tanto di evitarlo o di dargli delle ragioni di comodo, quanto di dargli ra- gione nell’oggi. Dare al dolore un senso oggi, per quello che sei ora, permette di trasformare qualcosa di oggettivamente negativo in qualcosa di salvifico. È fondamen- tale che il dolore si accolga. Il do- lore ha un senso. Nella mia li- bertà, solo io posso darglielo». «Dalle tenebre alla luce» Se il dolore non si può evitare, e zittirlo spesso significa amplifi- care la sua voce, il primo passo è riconoscerlo e dargli un nome. Per questo è importante il con- Il lutto dei padri Q uelle poche volte che si parla della perdita di un figlio in gravidanza, ci si riferisce soprattutto al lutto delle madri. E il lutto dei padri? «Il lutto dei padri - risponde Micaela Darsena dell’associazione CiaoLapo - purtroppo è ancora meno riconosciuto di quello delle mamme. Questo accade per un pro- blema culturale generale con le emozioni maschili: gli uomini devono essere forti, devono reagire, non devono piangere, e così via. Molti papà ci dicono: “Per un po’ mi hanno chiesto ‘come sta tua moglie?’, ma a me non hanno mai chiesto come sto”. Caspita! Anche quel papà ha sofferto per la perdita di quel bambino, an- che quel papà aveva investito in progettualità su quella nascita. Quanto dolore c’è in un papà che ha perso il suo bimbo. Quando nei nostri incontri di gruppo sono presenti dei papà, spesso ci dicono che quelli sono gli unici momenti in cui possono parlare del loro dolore. Hanno sempre detto loro: “Tu devi essere forte per tua moglie, devi sostenerla”. Certo, nelle dinamiche di coppia è facile che inizialmente uno dei due sostenga l’altro e poi, quando questo inizia a stare meglio, il primo si permetta di lasciar andare le emozioni. Questa cosa generalmente succede ai papà: comin- ciano a stare male quando le mamme stanno meglio, perché fi- nalmente se lo concedono». L.L.

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